Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
       Sovrano Santuario Italiano



N.IX Settembre 2009

 

(F. Massa)Alcune riflessioni sull'alchimia

 

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ALCUNE RIFLESSIONI SULL'ALCHIMIA

(Francesco Massa)

Si può chiamare alchimia, l’arte della trasmutazione dell’anima: l’immagine della trasmutazione  dei metalli vili in metalli nobili evoca l’immagine del processo interiore sopra detto. Questo non nega che gli alchimisti abbiano praticato dei procedimenti metallurgici nel campo pratico, ma tali procedimenti non  erano che dei supporti esteriori e simbolici che si riferivano al processo interiore delle trasmutazioni dell’anima. Infatti, la differenza tra l’alchimia e le altre scienze sacre risiede nel fatto che l’alchimia non si manifesta solo su un piano esteriore ma su un piano interiore: la trasmutazione del piombo in oro è simbolo del cambiamento interno dell’anima. Il piombo rappresenta lo stato caotico dell’anima mentre l’oro rappresenta la luce solidificata ed esprime la perfezione metallica e quella umana. L’oro rappresenta alchemicamente il vero fine della natura metallica: gli altri metalli non sono che tappe intermedie preparatorie a questo scopo; l’oro possiede un armonioso equilibrio di tutte le proprietà metalliche e perciò possiede anche l’eternità. Ciò nonostante gli alchimisti non hanno avuto come fine ultimo quello di fabbricare l’oro a partire dai metalli ordinari: desideravano invece ottenere  l’oro interiore  ovvero realizzare la grande opera: l’elevazione spirituale.
               L’alchimia è in grado di condurre l’uomo a una conoscenza del proprio essere eterno e può essere comparata all’ascesi mistica. L’adozione d’espressioni alchemiche da parte di mistici cristiani e musulmani ne è una prova, si considerino anche i simboli alchemici quali il ritorno verso il proprio centro o quello che le due religioni monoteiste chiamano paradiso terrestre. Tuttavia, il fine della via mistica è l’unione con Dio mentre l’alchimia non parla di questo, ma la connessione con la via mistica è il fine di recuperare la nobiltà originale della natura umana: la trasmutazione del piombo in oro non è altro che il simbolo di questa reintegrazione . Tuttavia come le qualità dell’oro non possono essere ottenute da una semplice somma di proprietà metalliche quali massa, durezza, colore, così la perfezione adamitica non è solamente un assemblaggio di virtù. Tale perfezione è anche inimitabile come l’oro e l’uomo che la realizza non può essere comparato agli altri: il suo essere è pienamente svegliato e unito al suo principio d’origine.
                L’alchimia, che certi  hanno voluto definire come un misticismo senza Dio,pur differenziandosi dall’universo teologico è una branca  operativa dell’ermetismo  tutta centrata nella credenza dell’esistenza di Dio  . Tuttavia non è né teologia né morale: considera le forze psichiche  da un punto di vista cosmologico e tratta l’anima come sostanza da purificare, non consiste nel semplice pragmatismo spirituale: la sua natura spirituale, in senso contemplativo si rivela nel simbolismo che stabilisce un’ analogia tra il regno minerale e quello dell’anima , ma tale visione non può essere percepita che da una visione qualitativa delle cose materiali , visione d’interiorità in un certo senso che cerca nello stesso tempo la realtà psichica  in maniera tangibile, oggettiva e concreta. In altri termini la cosmologia alchemica è essenzialmente una dottrina dell’essere, una ontologia. I simboli metallurgici non sono semplici formule, una descrizione approssimativa del processo interiore; come tutti i simboli veri sono una specie di rivelazione. Per la maniera impersonale con la quale considera il mondo e l’anima si trova in rapporto più diretto con la voce conoscenza che con la voce amore.
               Gnosi va qui intesa non nel senso eretico ma nel vero senso del termine esaminando l’animo legato all’io. L’alchimia si nasconde sotto degli enigmi: l’arte reale come viene anche chiamata, presuppone in chi vi si avvicina una intelligenza fuori dell’ordinario, una certa disposizione d’animo da parte di chi vuole conoscerla, e senza questi presupposti può essere pericolosa.
               È impossibile esporre per sole parole il senso dei simboli contenenti la chiave del segreto profondo dell’alchimia. Quello che si può spiegare in larga misura è la dottrina cosmologica su cui si fonda.  Allo stesso modo, anche se è possibile  interpretare la totalità dell’opera ermetica, resterà sempre qualcosa di non scritto che è indispensabile per il compimento dell’opera : infatti come tutte le arti sacre l’alchimia dipende dall’iniziazione : l’autorizzazione a compiere l’opera deve essere ottenuta da un maestro.
               La visione ermetica delle cose si fonda sull’analogia tra l’universo, macrocosmo,  l’uomo, microcosmo, analogia di cui la chiave di volta è lo spirito o intelletto universale emanazione dell’uno assoluto.
               L’universo e l’uomo si riflettono l’un l’altro, tutto quello si trova nell’uno deve anche ritrovarsi nell’altro. Poiché l’uomo rappresenta nell’ordine terrestre il supporto più perfetto dello spirito universale, si può considerarlo come le sintesi di questo essere macroscopico: in questo senso si può dire l’universo è un grande uomo e l’uomo un universo in piccolo. Si comprende che l’intelletto universale trascende le facoltà psichiche e mentali. 
               La conoscenza del mondo attraverso la nostra struttura legata ai sensi è comunque frammentaria non riuscendo ad elevarsi al di sopra del binomio oggetto soggetto. La dottrina ermetica alchemica sostiene che l’elevazione della mente a l’intelletto universale che contiene tutte le possibilità d’oggettivazione interiore ed esteriore trascendendo le facoltà psichiche e mentali, permette di andare oltre le proprie normali conoscenze.
               La dottrina dell’unità trascendente dell’intelletto è contenuta nel Vangelo di San Giovanni, dove si afferma che le rivelazioni delle scritture hanno carattere trascendente  ed esoterico e sono le premesse e non l’oggetto della logica. La natura universale dello spirito fa in modo che esso sia presente in ciascuna creatura, l‘intelletto poiché polo cognitivo dell’esistenza universale non essendo l’oggetto di alcuna esperienza, ma la premessa e il fondamento di tutte le esperienze possibili determinano l’assimilazione interna delle esperienze del mondo. Secondo la scienza moderna le verità non sono che descrizioni schematiche delle apparenze, delle estrazioni utili ma provvisorie, mentre tutto ciò che appare nel mondo del condizionato ha il suo modello o archetipo  nell’intelletto universale. Solamente dal’unione dell’anima con lo spirito o ancora nel suo ritorno all’unità indivisa dello spirito può prodursi nella coscienza umana una suprema rivelazione delle possibilità stesse  contenute  nell’intelletto.
             Una cosa o un pensiero è simbolo nella misura in cui riflette, su un piano psichico o fisico, il suo archetipo o essenza immutabile. Il pensiero astratto fa notare meglio la distanza che separa il simbolo dal suo archetipo , l’immaginazione è più adatta a riflettere quest’ultimo perché l’immagine è più complessa di una nozione astratta e offre più possibilità d’interpretazione, si appoggia sulla corrispondenza inversa che esiste tra dominio spirituale e quello del corpo, in maniera conforme alla legge secondo la quale ciò che è in basso rassomiglia a ciò che è in alto come afferma la tavola smeraldina.
             I metalli vili, dicono gli alchimisti, non possono essere trasmutati in argento o in oro senza prima di essere ridotti alla materia prima. Se si considera che i metalli vili corrispondano alle imperfezioni dell’anima, la materia prima alla quale deve essere ridotti non è altro che la loro sostanza primitiva, materia prima, dove tutto è possibile. Allo stesso modo l’anima dopo essersi liberata dai suoi limiti può divenire sostanza malleabile sulla quale lo spirito o l’intelletto imprimono una nuova forma di cui i metalli nobili sono simbolo.

             
Dal punto di vista interiore la riduzione simbolica dei metalli alla loro materia prima non è un’immersione sonnambolica delle coscienze nell’inconscio. La riduzione alla materia prima non si produce che dopo una lotta ardua contro le tendenze opposte dell’anima, lotte che devono distruggere tutti i nodi o complessi irrazionali.               
             

 

 

LA PHILOSOPHIA PERENNIS, “PURA METAFISICA”
delle antiche Tradizioni e la sua concordanza
con la fisica quantistica, nuova visione olistica.

(Fabrizio Bartoli)

PREMESSA

Sappiamo che formare “UOMINI UNIVERSALI” è sempre più importante per tutta l’umanità, uomini che abbiano imparato a vedere le cose del mondo con una apertura mentale integrale, olistica e globale. Per risolvere i problemi complessi che ci troviamo di fronte non sono sufficienti i vecchi metodi, diventa sempre più necessario avere “Fratelli super partes”, che abbiano maturato la convinzione profonda di “LAVORARE PER IL BENE DELL’UMANITA’ ”, liberi dai condizionamenti dei sensi e delle passioni, cioè di “veri MASSONI”, che però hanno messo in pratica il lavoro interiore dell’Iniziato, di elevazione verso “La LUCE”, il “Sommo Bene” avrebbe detto Platone.
La nostra istituzione muratoria è già predisposta, per compiere questo lavoro di formazione di “uomini universali”; nei nostri rituali, vi sono continui riferimenti a filosofie e Tradizioni antiche che ci richiamano alla visione “METAFISICA” (spirituale), della “PHILOSOPHIA PERENNIS”, altrimenti detta con linguaggio modernoVISIONE OLISTICA”.
Sappiamo che nel grado di Apprendista prevale il lavoro della squadra: l’apprendimento passivo, il lavoro di rettificazione, nel grado di Compagno lo spirito e la materia si intrecciano devono raggiungere un equilibrio, nel grado di Maestro deve prevalere il lavoro spirituale che prosegue naturalmente nell’ambito dei Riti.
Il Compasso, strumento con il quale si realizza il cerchio, è simbolo quindi di “apertura verso le cose del cielo”, le cose sottili, spirituali oggetto della metafisica (oltre le cose fisiche, materiali) e quindi della religione.
L’espressione a noi nota del rituale di 3° Grado “il compasso è finalmente sovrapposto alla squadra”, vuole significare che si è “finalmente” raggiunta la condizione in cui il pensiero “dovrebbe” prevalere sull’azione, il dominio della spiritualità sulla brutalità della materia, dove il superamento delle passioni e degli istinti fanno predominare la saggezza.
Si tratta quindi di integrare, aggiungere “punti di vista”, “visioni” più allargate, più omnicomprensive; acquisire quella condizione di coscienza che ci permette di andare “oltre”, in modo tale che il “vedere-conoscere” diventi più completo, più universale, più olistico.
Ciò che risulta ora veramente sorprendente ed affascinante, è che questa visione “antica” degli insegnamenti tradizionali iniziatici è “perfettamente coincidente” con la nuova visione scientifica della fisica quantistica. Questa concordanza tra l’antico insegnamento iniziatico (filosofia e religione vera) e la scienza può determinare un vero e proprio salto in avanti dell’intera umanità. I cultori dell’esoterismo iniziatico non saranno più “etichettati” come utopisti, sognatori, pazzoidi eccentrici, perché la scienza ora concorda con questi insegnamenti. Approfondendo questi legami tra scienza, filosofia metafisica e quindi vera religione, otterremo il doppio risultato di rafforzare le nostre convinzioni: che la via intrapresa di “…percorrere incessantemente il cammino iniziatico tradizionale…” è quella giusta, anche perché ora suffragata dalla scienza; ed inoltre, diffondendo nel modo opportuno questi insegnamenti all’esterno, avremo la sicura approvazione e coinvolgimento di tanti uomini “liberi”, che magari diffidavano dei nostri insegnamenti esoterici, fino ad ora poco accettati dalla scienza.

 

 

LA METAFISICA , VERA RELIGIONE e FILOSOFIA PRIMA

(Fabrizio Bartoli)

Nella concezione platonica abbiamo che l’amore principale verso la conoscenza del principio primo, chiamato  “Sommo Bene”, è la prima causa da cui tutto deriva, equiparabile al concetto religioso di Dio. Questo è l’oggetto della Metafisica o filosofia dell’Essere, cioè di “ciò che è e non diviene” (avrebbe detto Parmenide).
La Metafisica, così definita da Andronico (I sec. d.C.) designando i libri di Aristotele  ‘successivi a quelli di fisica’, posti cioè al di là della fisica (metà tà physikà), è anche definita dallo stesso Aristotele la “filosofia prima”, ed è “prima” perché tratta dei principi da cui tutte le altre scienze discendono. Nell’opera di Aristotele, “la metafisica”, la “filosofia prima” viene vista come la scienza dell’essere più alto e perfetto dal quale tutti gli altri esseri dipendono e si collega con la concezione di una scienza che studia i caratteri fondamentali dell’essere in quanto essere (ontologia).
Guénon spiega, riferendosi al significato etimologico della parola:
«"metafisica" significa letteralmente "di là della fisica", intendendo "fisica" nell'accezione che tale termine aveva sempre avuto per gli antichi, accezione che è quella di "scienza della natura" in tutta la sua generalità. La fisica è lo studio di tutto quel che appartiene all'ambito della natura; ciò che riguarda la metafisica è quel che è al di là della natura».

Questa Filosofia Prima, Pura, è quella che può essere definita Tradizionale, Filosofia dell’Essere, e non ha niente a che fare con la comune filosofia moderna, che nasce dalla concettualizzazione individuale. Essa non ha paternità umana perché rappresenta quella Philosophia perennis che riceve ispirazione dal Principio stesso. Si tratta di Filosofia realizzativa o Metafisica realizzativa, va direttamente sperimentata e non memorizzata.
La Filosofia dell'Essere è teoria e prassi, Verità e disciplina; Verità metafisica perché trascende il naturato (ciò che fa parte della natura), prassi, perché mira alla realizzazione effettiva di tale verità.
Si parla di Filosofia tradizionale, o di Metafisica realizzativa, perché essa riguarda la pura essenza delle cose, la pura costante, il puro Essere. Ora la filosofia dell'Essere riconduce tutto il movimento ad un punto centrale immobile o costante che è la Realtà ultima ed assoluta.
Ciò che il cantante e filosofo Battiato ha definito in una sua canzone: “ … centro di gravità permanente, che non ci fa cambiare idea sulle cose e sulla gente …”.
Se la scienza “classica” si interessa del relativo e del movimento, la metafisica s'interessa della Costante, del Punto immobile.
La Filosofia della non-dualità si pone in cima alla piramide delle dottrine filosofiche perché riconosce l'Uno-senza-secondo, come la costante assoluta micro e macrocosmica, universale, scavalcando così ogni possibile dualità o polarità.
La via iniziatica implica la Realizzazione ed è importante  capire ciò che si vuole intendere con determinate parole. Il linguaggio spesso divide, anziché unire. Lungo il tempo certe cose sono viste da angolazioni diverse, da posizioni coscienziali difformi, a volte opposte, si tenga presente che gli individui si trovano a diversi gradi di "risveglio", quindi non possono non parlare lingue che sono inerenti al loro grado coscienziale.
La Filosofia dell'Essere, Filosofia perenne, è anche sperimentazione diretta della verità, diremo che si parla di "oscuramento" della Verità metafisica, perché quelli che ad essa si sono accostati, e ancora si accostano, invece di viverla, si dilettano semplicemente a discuterne. Molti essendo arrivati solo allo sviluppo mentale empirico, pensano esclusivamente a scrivere, a fare saggi discorsivi, ad essere recensori, eruditi, seguendo la linea di minor resistenza.
La Verità metafisica va incarnata, ciò vuol dire che Essa deve discendere e farsi, appunto, carne. Se non si attua questa discesa, l'individualità non viene trasfigurata.
La sperimentazione consiste appunto in questo processo di discesa, assorbimento e assimilazione coscienziale fino ad essere tutt'uno con la Verità.

Anche per Guénon, la metafisica, : «… è la conoscenza dei principi universali …(ma) non lasciandosi rinchiudere in nessuna formula o in nessun sistema … è conoscenza sovrarazionale, intuitiva e immediata». Il suo strumento, «l'intuizione intellettuale pura», non va confuso con l'intuizione sensibile essendo «l'una (intuizione intellettuale)… di là dalla ragione, ma l'altraal di qua». L'intelletto trascendente non appartiene più all'ordine delle facoltà individuali, «poiché non può rientrare nelle possibilità dell'individuo …. l'uscire dalle condizioni che lo definiscono in quanto individuo», e non è in quanto uomo che l'uomo può giungere alla conoscenza metafisica, ma solo «in quanto quest'essere, che è umano in uno dei suoi stati, è nello stesso tempo qualcosa d'altro e qualcosa di più di un essere umano». La «presa di coscienza degli stati sovraindividuali», è quindi «l'oggetto reale della metafisica», in essa l'individuo appare solo come «una manifestazione transitoria e contingente dell'essere vero», uno «stato particolare di una moltitudine indefinita di altri stati dello stesso essere», ove l'essere è «assolutamente indipendente da tutte le sue manifestazioni», come «il sole è assolutamente indipendente dalle immagini molteplici nelle quali si riflette».
Ecco delinearsi «la distinzione fondamentale tra il "Sé" e l'"io", tra la personalità e l'individualità», collegate fra loro dall'intelletto trascendente «come le immagini sono ricollegate dai raggi luminosi alla fonte solare». La complessa teoria degli stati molteplici dell'essere, è vero punto nodale della metafisica guenoniana e leitmotiv della sua opera,

La filosofia dell’Essere, la pura Metafisica o Filosofia Perenne, non è né contro il materialismo, né contro l’idealismo spirituale. Essa considera entrambi come aspetti della Realtà totale che è appunto l’Essere (ciò che è). I due punti di vista sono momenti dialettici del Reale assoluto. Per la filosofia dell’essere il soggetto e l’oggetto, lo spirituale e il materiale, il noumeno e il fenomeno e tutti i possibili dualismi non sono altro che momenti dialettici operanti a livelli coscienziali diversi ma non contrapposti. Per la Filosofia dell’Essere la verità non sta né a sinistra, né a destra, né al centro.
Questa Metafisica pura (Philosophia perennis) non è né occidentale, né orientale anche se possiamo ritrovarla ovunque negli insegnamenti Tradizionali. ,ed è perfettamente in linea con la nuova visione “olistica” scientifica di unità nell’apparente diversità.
Uno dei principali insegnamenti antichi della visione Metafisica è sicuramente l'Advaita Vedânta, facente parte del Vedânta (compimento dei Veda), filosofia della Non-Dualità, solitamente considerato il vertice della spiritualità Indù, poiché per la sua universalità non intende contrapporsi alle altre correnti ortodosse (darshana, cioè punti di vista), ma le "comprende" e le rispiega a partire da un angolo visuale più ampio.
Il Platonismo è l'espressione più completa della Metafisica nell'Occidente tradizionale, e come tale ha permeato per molti secoli la civiltà greco-latina, più tardi influenzando anche i settori della Cristianità meno fideistici (gnostici) e più sensibili a valide istanze realizzative. Il suo influsso nel Sufismo è stato ancor più considerevole, non a caso in tali ambienti Platone viene onorato quale "imam della sapienza".
Platone va alla ricerca della “vera causa” delle cose, e presenta tale ricerca metafisica, nelle pagine centrali del Fedone, come la sua seconda navigazione.
Vuoi che ti esponga, Cebete, la seconda navigazione (deuteros plous) che intrapresi per andare alla ricerca di questa causa (la vera causa delle cose) ?“. (Fedone 99, C-D)

Queste pagine costituiscono la Magna Carta della metafisica occidentale, in quanto in esse viene presentata la prima dimostrazione dell’esistenza di un essere metempirico, soprasensibile e trascendente. Già nei Presocratici … è presente la tematica metafisica, in modo particolare in Parmenide.
La seconda navigazione rappresenta il punto chiave del tragitto ideale che l’uomo deve compiere quando cerca la verità, e che Platone rappresenta mediante la narrazione di un lungo viaggio intrapreso e concluso da Socrate, e da lui narrato nel giorno della sua morte.  Questo iter .. rappresenta il viaggio che il Vero Filosofo in quanto tale deve percorrere.
La seconda navigazione, come le fonti antiche ci riferiscono è “quella che uno intraprende quando, rimasto senza venti, naviga con i remi ….soffrendo tutte le fatiche e i pericoli che ne conseguono”.

Advaita Vedânta e Platonismo sono per lo più accostati ai nomi di Shankara e Platone, quasi come se essi fossero gli escogitatori di tali dottrine; in realtà, tali dottrine sono radicate in tradizioni preesistenti, ed essi furono semplicemente importanti interpreti o codificatori di esse, al pari dei Saggi delle Upanishad, di Gaudapâda, dei successori di Shankara, al pari dellìOrfismo, di Licurgo, di Pitagora, di Plutarco, di Porfirio, di Giuliano Imperatore, ecc.
Advaita Vedânta e Platonismo rappresentano le massime espressioni, a noi pervenute, della Sophia Perennis, e presentano straordinarie notevoli convergenze pur espresse con formulazioni diverse. Dobbiamo tener conto che Shamkara è vissuto nel 700 dopo Cristo in India, mentre Platone è vissuto in Grecia 1000 anni prima, siamo quindi in differenti paesi e culture e tempo cronologico. Nonostante ciò i punti di contatto sono davvero sorprendenti, a testimonianza che  l’insegnamento della Filosofia Perenne non ha età, ed inoltre questa  metafisica è sicuramente il riferimento per tutte le religioni.  La stessa visione la ritroviamo ora nella “scienza olistica” ed in particolare nella fisica quantistica.

 LA CRISI DEL DETERMINISMO della FISICA CLASSICA e l’avvento della fisica quantistica

La scienza, mettendo in crisi i principi della fisica classica con l’avvento della fisica quantistica, già da tempo ha dovuto accettare la fine del determinismo e del dualismo, avvicinandosi in modo sorprendente alla metafisica tradizionale, percorriamone brevemente le tappe.
All’inizio del 1900, la scienza credeva di aver quasi raggiunto il termine della ricerca della Realtà; ogni fenomeno dell’universo fisico era stato accuratamente descritto secondo la rigida formula deterministica di causa ed effetto.
Ogni fenomeno della natura poteva essere ridotto a piccole porzioni di materia rigidamente descrivibili secondo la meccanica di Newton (meccanica classica).
Esistevano, però, due importanti fenomeni che non potevano in alcun modo essere spiegati con le leggi della meccanica classica.
Uno era l’effetto fotoelettrico; l’altro (l’irradiazione del corpo nero) fu chiamato ironicamente “la catastrofe ultravioletta”. Fu senz’altro una catastrofe, perché segnò la prima profonda incrinatura nella struttura concettuale del dualismo scientifico.
Il problema riguardava l’irradiazione di energia da alcuni corpi termici: i dati sperimentali non coincidevano in alcun modo con le correnti teorie della fisica.
Esso fu risolto dall’intelligenza di Max Planck, che in un vero e proprio lampo di genio suggerì l’ipotesi che l’energia non fosse continua come sempre si era creduto, ma che si propagasse in quantità discrete o quanti; fu un colpo mortale per il dualismo scientifico.
Albert Einstein utilizzò con successo la teoria di Planck nello studio delle reazioni fotoelettriche (il secondo fenomeno che non obbediva alle leggi della fisica classica), mentre Niels Bohr la applicò alla fisica subatomica.
Louis de Broglie, mettendo a frutto gli sviluppi di queste ricerche, dimostrò che non solo l’energia, ma anche la materia produce onde; ciò condusse Edwin Schroedinger a formulare la sua monumentale meccanica quantistica. Tutto nel breve spazio di appena una generazione (prima della seconda guerra mondiale).
Queste incredibili scoperte culminarono nell’inevitabile, quanto devastante conclusione: il Principio di Indeterminazione di Heisenberg, le cui conseguenze furono, e sono ancora, incalcolabili.  Questo principio(1927), relativo al campo della "meccanica quantistica", dice che maggiore è la precisione della misura della velocità di un elettrone, minore sarà la precisione della misura della sua posizione, e viceversa ; questo perché, misurando la velocità, si modifica la traiettoria della particella, e quindi la sua posizione e viceversa. Lo scienziato è obbligato a scegliere quale misura effettuare con precisione, a scapito dell’altra.
La misurazione non è, dunque, un processo neutrale, ma incide sui risultati a cui mira ; vi è un’interazione tra osservatore ("scienziato") e sistema osservato ("realtà fisica") e, perciò, non si può più considerare il mondo esterno come indipendente dall’individuo che lo esplora.
L’indagine di tipo dualistico si spinse coerentemente fino al mondo della fisica subatomica, all’interno del quale, si cercarono di definire e misurare con esattezza “particelle” come gli elettroni. Questi avrebbero dovuto plausibilmente rivelarsi gli ultimi, irriducibili elementi di cui era composta la natura.
Ma qui sorse un “insormontabile” problema. Misurare qualunque cosa richiede l’uso di strumenti, ma l’elettrone ha un peso così piccolo che qualunque strumento, anche “leggero” come un fotone, otteneva il risultato di fargli cambiar posto proprio nel momento in cui si tentava di misurarlo!
Non si trattava di un problema tecnico, ma della trama stessa in cui era tessuto l’universo. I fisici avevano raggiunto il punto limite, e le premesse che li avevano condotti fin lì (“l’osservatore è un’entità separata; è possibile interagire con l’universo senza per questo modificarlo”) divennero insostenibili.
Fu quindi introdotto il concetto di “Campo” d’energia; e mentre considerando la materia in modo meccanico (due palle che si scontrano) posso stabilire con certezza il fenomeno (determinismo), se considero la materia come una forma di energia concentrata, in continua interazione con altra materia-energia debbo studiare il tutto, l’insieme, il “Campo”. Il determinismo della fisica classica entra in crisi e i fenomeni che accadono vanno visti in interazione tra loro, anche con l’osservatore. Dovrebbe nascere quindi un nuovo approccio anche filosofico alla visione del mondo e dei fenomeni che vi accadono, ma purtroppo, anche se sono trascorsi più di 80 anni da queste scoperte scientifiche, ciò ancora non accade.

Soggetto e oggetto si rivelarono profondamente interdipendenti, e tutte le teorie che avevano presupposto qualcosa di diverso necessariamente crollarono.
Haldane mormorò: “L’universo è non solo più strano di quanto supponiamo, ma anche di quanto siamo in grado di supporre.” L’impossibilità di definire con esattezza le “realtà ultime” dell’universo venne matematicamente provata con il Principio di Indeterminazione di Heisenberg, e segnò la fine dell’approccio classico ed esclusivamente dualistico alla realtà.
Il matematico Whitehead dichiaro:
Il progresso scientifico ha raggiunto il punto di svolta. Le solide fondamenta della fisica sono crollate. I vecchi principi del pensiero scientifico stanno diventando incomprensibili. Tempo, spazio, materia, materiali, etere, elettricità, meccanismo, organismo, struttura, modello, funzione: tutto dovrà essere reinterpretato. Che senso ha parlare di spiegazione meccanica quando non si sa cosa intendere per meccanica?
Louis de Broglie, che da parte sua aveva svolto un ruolo importante nella “rivoluzione dei quanti”, ne descrisse l’effetto catastrofico notando che: “il giorno in cui i quanti vennero furtivamente introdotti, il vasto e grandioso edificio della fisica classica fu scosso alle fondamenta. In tutta la storia del mondo intellettuale sono stati pochi i mutamenti radicali paragonabili a questo”.
La rivoluzione dei quanti si rivelò catastrofica perché, non limitandosi ad attaccare una o due conclusioni della fisica classica, ne distrusse la pietra miliare, la base su cui si ergeva l’intero edificio, e cioè il dualismo soggetto/oggetto.
Si era supposto fino ad allora che fosse Reale solo ciò che poteva essere misurato ed osservato oggettivamente, ma queste cosiddette “realtà ultime”, non potevano sempre essere osservate e misurate; si trattava, dunque, di un tipo ben strano di Realtà.
Come disse Sullivan, “Non possiamo osservare il corso della natura senza turbarlo”; o, come scrisse Andrade, “Osservare significa interferire con ciò che si osserva... l’osservazione disturba la realtà.” 
Appariva adesso ben chiaro ai fisici che misurazione e verifica oggettiva non potevano più essere considerate prove di realtà assoluta, perché l’oggetto misurato non era mai completamente separato dal soggetto che lo misurava - a quel livello essi erano una cosa sola.
Circa nello stesso periodo in cui la “rigida cornice” del dualismo scientifico crollava in fisica, il giovane matematico Kurt Gödel (allora venticinquenne) stava scrivendo un trattato che è rimasto sicuramente il più incredibile nel suo genere. Esso si ispirava ad una logica analoga a quella del Principio di Indeterminazione di Heisenberg.
La sua parte centrale è conosciuta oggi con il nome di “Teorema di Incompletezza di Gödel”, ed è la rigorosa dimostrazione matematica di come qualunque sistema logico abbia almeno una premessa che non può essere provata o verificata senza che si producano delle contraddizioni. Così: “è impossibile stabilire la coerenza logica di un sistema deduttivo complesso senza presupporre dei principi la cui coerenza logica è altrettanto dubbia di quella del sistema stesso“.
Ogni volta che l’universo si divide in soggetto e oggetto, in chi vede e ciò che viene visto, qualcosa deve sfuggire.
In tali condizioni l’universo elude sempre in parte se stesso. Nessun sistema di osservazione può osservare se stesso mentre osserva. Chi vede non può vedere se stesso nell’atto di vedere. Ogni occhio ha un punto cieco. Proprio per questo, alla base di ogni tentativo dualistico di conoscenza troviamo soltanto: Indeterminazione, Incompletezza !
Alla base del mondo fisico, il Principio di Indeterminazione; alla base del mondo mentale, il Teorema di Incompletezza - lo stesso divario, lo stesso universo che elude se stesso.
Con il dualismo soggetto/oggetto la scienza era partita male, e nei primi decenni del XX sec. essa aveva ormai percorso il proprio cammino fino ad auto­annientarsi.
Inclusi nel dualismo epistemologico soggetto/oggetto erano i paralleli dualismi ontologici spirito/materia e mente/materia. Il problema dualistico ruotava intorno al tentativo di decidere di quale sostanza fondamentale fosse costituito l’universo: si trattava forse soltanto di atomi materiali sistemati in modo tale da fare della coscienza una semplice illusione? La mente non era dunque che un agglomerato di materia ? Ma che rispondere allora a chi diceva che ogni percezione della materia ha sede nella mente di qualcuno - ciò non dimostrava forse che la materia non è altro che un’idea ? 
Fin da quando Platone separò le idee dall’esperienza, il dibattito su cosa fosse veramente reale proseguì senza una decisa vittoria di uno dei due fronti.
La coscienza è materia, o la materia è coscienza ? Gli idealisti, o mentalisti, proprio non potevano accettare l’ipotesi che la coscienza fosse poco più di un pezzo d’argilla, non diversa in fondo dalla roccia, da un tavolo, dalla sporcizia. Erano sempre pronti a chiedere: “Qual è l’origine della percezione della materia ?” L’ovvia risposta era che la percezione della materia ha origine dalla coscienza, accompagnata dall’ovvia conclusione che la materia è un semplice prodotto mentale.
Ciò a sua volta era troppo per i materialisti, che replicavano: “Dov’è allora l’origine della coscienza?” E rispondevano: “Nei processi fisici del cervello umano”. Anche la loro conclusione era ovvia: le idee sono prodotti materiali.
Dunque a quale conclusione la scienza era arrivata ?
Gli studiosi della nuova fisica quantistica non avevano scoperto alcuna sostanza spirituale, tuttavia, e proprio qui è il punto, avevano scoperto l’inesistenza della sostanza materiale. Come disse uno di loro:
Il nostro concetto di sostanza rimane chiaro solo fino a quando non dobbiamo affrontarlo. Quando lo analizziamo esso inizia a svanire.., la solidità delle cose è un’altra illusione... Abbiamo inseguito la sostanza solida dal fluido all’atomo, poi dall’atomo all’elettrone, e lì l’abbiamo persa.
Bertrand Russell riassunse brevemente la cosa in questi termini:
Il mondo può essere chiamato fisico o mentale, o entrambe le cose o nessuna delle due, come più preferiamo; in realtà queste parole non dicono nulla.”

L’abbandono del dualismo
La fisica quantistica aveva spinto il dualismo mente/materia fino al punto dell’auto-annientamento, nel quale esso era rimasto inghiottito.
Il fondamentale dualismo soggetto/oggetto non era più sostenibile, e questo non per l’opinione arbitraria di un particolare gruppo di filosofi, ma per l’autorevole conclusione raggiunta dai fisici.
Bronowski riassume gli aspetti essenziali della relatività quando dice che: “La relatività deriva essenzialmente dall’analisi filosofica, la quale afferma che non esiste la realtà e chi la osserva, ma l’unione dei due nell ‘atto di osservare.., osservato ed osservatore non sono separabili”.
Ed Erwin Schroedinger, fondatore della meccanica quantistica, dichiara senza mezzi termini:
Soggetto e oggetto sono una cosa sola. Non è possibile dire che la barriera tra loro sia stata abbattuta in seguito alle recenti scoperte della fisica, perché tale barriera non è mai esistita”.
Le conclusioni che è possibile trarre dalle scoperte della rivoluzione quantistica sono numerose; addirittura così numerose, che la maggior parte dei filosofi moderni utilizza il Principio di Indeterminazione di Heisenberg e la Meccanica Quantistica di Schroedinger per dimostrare le teorie in cui di volta in volta credono. Prenderemo in considerazione quindi, solo la conclusione proposta da questi due fisici. La conclusione di  Heisenberg è chiara:
Fin dall’inizio ci troviamo coinvolti nella controversia tra natura ed uomo, nella quale la scienza gioca solo una parte; la comune divisione del mondo in soggetto e oggetto, mondo interno e mondo esterno, corpo ed anima, si rivela inadeguata e ci crea delle difficoltà.
Edwin Schroedinger è completamente d’accordo e aggiunge semplicemente: “Queste difficoltà non si possono certo evitare, a meno che non si abbandoni il dualismo.”
L’abbandono del dualismo era stato proprio la principale conquista della nuova fisica.
Oltre a rinunciare all’illusoria divisione tra soggetto e oggetto, onda e particella, mente e corpo, mentale e materiale, la nuova fisica  (con il brillante contributo della relatività di Albert Einstein) aveva abbandonato il dualismo spazio/tempo, energia/materia, e perfino spazio/oggetti.
L’universo è fatto in modo tale che, come commentò Niels Bohr, l’opposto di un’affermazione vera è un’affermazione falsa, ma l’opposto di una verità profonda di solito è una verità altrettanto profonda.
Come vedremo, rinunciando al fondamentale dualismo soggetto/oggetto i fisici avevano, per principio, rinunciato a tutti i dualismi. Almeno per loro, la battaglia tra gli opposti era finita.
Ricordiamo il commento di Schroedinger che non si può abbattere la barriera tra soggetto e oggetto, perché essa non è mai esistita. Come fronte e retro non sono che modi diversi di vedere un solo corpo, così soggetto e oggetto, psiche e soma, energia e materia, sono due modi diversi di avvicinarsi ad una sola realtà. Se non si comprende questo, e si insiste a porre gli “opposti” l’uno contro l’altro per cercare di capire quale dei due sia “veramente” reale, ci si condanna all’eterna frustrazione di dover risolvere un problema senza capo né coda.
Il biofisico L.L. Whyte spiega:Così la mente immatura, incapace di sfuggire alla propria pregiudiziale preferenza verso il permanente anche quando affronta gli aspetti mutevoli dell’esperienza, non riesce a riconoscere la forma effettiva del processo di sviluppo, ed è condannata a dibattersi nella camicia di forza dei soliti dualismi: soggetto/oggetto, tempo/spazio, spirito/materia, libertà/necessità, libero-arbitrio/legge. La verità, che dev’essere una, è imprigionata nelle contraddizioni. L’uomo è incapace di capire dove si trova, perché a partire da un mondo solo ne ha creati due”.
È proprio nel dualismo di creare due mondi a partire da uno che l’universo si divide, mutilandosi e diventando “falso a se stesso”, come dice G. Spencer Brown.
E il punto d’inizio per “creare due mondi a partire da uno” è, sempre, l’illusione dualistica che il soggetto sia fondamentalmente distinto dall’oggetto. Il superamento di questa illusione è stato il risultato più importante di 300 anni di ricerca scientifica tenace e coerente. Di fatto, l’inadeguatezza di una conoscenza di tipo dualistico poteva essere riconosciuta soltanto ammettendo la possibilità di un altro approccio conoscitivo alla Realtà, un approccio che non richiedesse la separazione tra conoscitore e conosciuto, tra soggetto e oggetto.
Eddington si è espresso così, al riguardo:Esistono due tipi di conoscenza, che io chiamo conoscenza simbolica e conoscenza intima... Le forme tradizionali di pensiero si sono sviluppate esclusivamente intorno alla conoscenza simbolica. La conoscenza profonda non si lascia codificare o analizzare; piuttosto, quando tentiamo di analizzarla, l’ intimità si dilegua e viene sostituita dal simbolismo”.
Eddington chiama la seconda modalità di conoscenza “intima”, perché in essa il soggetto e l’oggetto sono intimamente uniti. Appena nasce il dualismo fra soggetto e oggetto, “l’intimità si dilegua e viene sostituita dal simbolismo” e ci ritroviamo nel fin troppo noto mondo della conoscenza analitica.
Dunque, la conoscenza simbolica è per sua natura dualistica. Conoscenza simbolica è qui da intendersi non nel senso esoterico-iniziatico, che invece tende a superare il dualismo, ma in senso profano. Poiché la separazione tra soggetto e oggetto è illusoria, la conoscenza simbolica che ne consegue è anch’essa, in un certo senso, illusoria.
Seguiamo ancora Eddington: “Nel mondo della fisica siamo spettatori di un gioco di ombre. L’ombra del mio gomito riposa sull’ombra del tavolo, e l’ombra dell’inchiostro scorre sull’ombra della carta... Uno dei progressi più significativi fatti di recente consiste nell’aver compreso che la fisica ha a che fare con un mondo di ombre”.
Commentando questo passo, Edwin Schroedinger ha scritto:
Vi prego di notare che se abbiamo fatto dei progressi recentemente, non è certo perché il mondo della fisica sia diventato oggi un mondo di ombre; lo è stato infatti, fin dai tempi di Democrito e oltre, ma allora non ne eravamo consapevoli; credevamo di avere a che fare con il mondo reale”.

LA REALTA’ E’ PIU’ PROFONDA al di là del dualismo
La fisica e tutte le maggiori discipline intellettuali d’Occidente, avendo adottato il procedimento dualistico di conoscenza, non studiavano il mondo reale, quanto piuttosto le rappresentazioni simbolichedi tale mondo.
Questo sapere dualistico e simbolico rappresenta al contempo la genialità e il punto cieco delle scienze e della filosofia; esso permette di ottenere un’immagine altamente sofisticata ed analitica del mondo, ma le immagini, anche se illuminanti e dettagliate, restano sempre immagini.
Korzybski, padre della semantica moderna, esemplifica bene questo fatto, descrivendo ciò che egli chiama rapporto “mappa/ territorio”. Il “territorio” è una porzione effettiva di mondo, mentre una “mappa” è un sistema di annotazioni simboliche che rappresenta ed esprime vari aspetti del territorio. Ovviamente la mappa non è il territorio: nessuno si sognerebbe di prendersi una vacanza a Miami guardando l’atlante.
Esistono, tuttavia, mappe assai più sottili, per esempio il linguaggio che usiamo tutti i giorni; anche se non sono particolarmente ingannevoli, come dice Schroedinger, il problema nasce non appena ci dimentichiamo che la mappa non è il territorio, quando cioè confondiamo i simboli della realtà con la realtà stessa. La realtà è, per così dire, “al di là”, “oltre” gli sfuggevoli simboli, i quali, nel migliore dei casi, non sono che riproduzioni di seconda mano. Quando l’uomo non comprende questo, si perde nelle più aride astrazioni, e si ferma a riflettere sui simboli dei simboli del nulla, senza mai neppure sfiorare la realtà.
Il fisico Sir. James Jeans spiega: “Come la nuova fisica ha dimostrato, tutti i sistemi precedenti, dalla meccanica newtoniana alla vecchia teoria quantistica, hanno commesso l’errore di scambiare l’apparenza per la realtà; hanno limitato la loro attenzione ai muri della caverna (mito della caverna di Platone), senza rendersi conto della realtà più profonda al di là di essa”.
Avvicinarsi alla “realtà più profonda” non significa altro che scoprire il territorio da cui hanno origine tutte le nostre mappe. Proprio qui, però, risiede la difficoltà, perché si tratta non tanto di elaborare una mappa simbolica più dettagliata, autentica o accurata (più “scientifica”, insomma) quanto piuttosto di scoprire una via al territorio che non richieda alcuna mappa, per lo meno temporaneamente.
La conoscenza dualistico-simbolica quindi non è sufficiente né valida, perché ciò che si richiede è, al contrario, una conoscenza non simbolica, non dualistica, o, come dice Eddington, una conoscenza intima della realtà, che vada al di là dei simboli della scienza.
Ricordiamo l’importantissimo risultato della ricerca di Heisenberg, di Schroedinger e di Einstein: la struttura della realtà è tale che soggetto e oggetto, conoscitore e conosciuto non sono separabili.
Per comprendere profondamente la realtà, è necessaria una modalità di conoscenza che con la realtà sia compatibile, ossia un tipo di conoscenza che non separi artificialmente il soggetto che conosce da ciò che viene conosciuto.
Schroedinger pensava proprio a questa modalità non duale di conoscenza quando affermò che “Il mondo è dato una sola volta. Nulla si riflette. L’originale e l’immagine allo specchio sono identici”; e altrove quando disse: “Tutto questo (cioè la filosofia occidentale moderna) è stato costruito accettando come punto di partenza la tanto venerata distinzione tra soggetto e oggetto. Per quanto sia necessario accettarla nella vita di ogni giorno, per avere un “punto di riferimento pratico”, credo che dovremmo abbandonarla in sede filosofica.
Abbiamo così a disposizione due modalità essenziali di conoscenza. Come abbiamo visto, la scienza in generale iniziò il proprio cammino utilizzando mappe simboliche e dualistiche, lavorando cioè “sulle ombre”; con il progresso della fisica, tuttavia, questo genere di sapere fu stimato insufficiente, perché prometteva la conoscenza del Reale, ma non permetteva di raggiungerla. Questo limite fece nascere la necessità di avvicinarsi alla seconda modalità di conoscenza, cioè quella “intima” o non duale.
Si tratta di due modalità universali, che sono state in un modo o nell’altro riconosciute in varie epoche e vari luoghi della storia dell’umanità: dal Taoismo a William James, dal Vedanta ad Alfred North Whitehead, dallo Zen alla teologia cristiana .
Un  gran numero di scienziati, filosofi, psicologi e teologi … hanno tratto una conclusione unanime e inequivocabile, che soltanto attraverso la modalità non duale sia possibile raggiungere laconoscenza della Realtà. …

UN UNIVERSO INDIVISIBILE UNICO TUTTO
La conoscenza simbolica da luogo a numerose e diverse immagini del mondo, mentre la Conoscenza non duale (intima) e non simbolica genera una sola immagine … una sola comprensione. …
Esiste una sola realtàcosì come afferma la tradizione universale – che può essere descritta in più modi utilizzando mappe simboliche diverse. Alcuni uomini nel corso della storia hanno voluto realizzare questo punto di vista e hanno abbandonato temporaneamente la conoscenza simbolica per sperimentare direttamente l’unica realtà sottostante, l’unico territorio su cui si basano tutte le nostre mappe. …
Invece di parlare della realtà l’hanno sperimentata, ed è il “contenuto” di quest’esperienza non duale ad essere universalmente chiamato Realtà Assoluta.
Scrive Teilhard de Chardin:
 “…abbiamo osservato la materia … come se ci fosse permesso prenderne un frammento e studiarlo indipendentemente dal resto. E’ ora di capire che tale procedura non è altro che un inganno intellettuale. Considerato nella sua realtà fisica, concreta … l’universo non può dividere se stesso; ma, come una sorta di gigantesco “atomo”, esso forma nella sua totalità … l’unico vero indivisibile … Più lontano e più profondamente noi penetriamo nella materia … e più restiamo confusi dall’interdipendenza delle sue parti. Ogni elemento del cosmo è essenzialmente intrecciato a tutti gli altri … tutt’intorno, fin dove l’occhio può vedere, la struttura dell’universo si mantiene compatta, per cui esiste un solo modo di comprenderla: considerarla un indivisibile, unico tutto”.
La modalità non duale di conoscenza considera appunto l’universocome un indivisibile, unico tutto” senza le lacerazioni caratteristiche della modalità dualistica.
Il mondo reale come realtà indivisibile non ha opposti, dunque non è qualcosa che possa essere definita o afferrata; tutti i “simboli” hanno significato solo relativamente ai loro opposti e il mondo reale non ne ha. Per questo è detto “Vuoto” (Shunyata) ad indicare che tutti i pensieri e le proposizioni riguardanti la realtà sono vuote e prive di valore. …Ma il mondo reale è il regno in cui le cose, che si suppongono separate, sono invece inestricabilmente intessute nel “manto senza cuciture” dell’universo. … La REALTA’ è un manto integro non lacerato in soggetto e oggetto né costituito da oggetti separati disposti nello spazio e nel tempo, … le entità (presenti nell’universo) sono tutte “membra di un solo corpo”.
La realtà è inesprimibile, nondimeno è sperimentabile. Ma poiché questa esperienza del mondo è offuscata dai nostri concetti su di essa, e poiché questi concetti si basano sulla frattura tra soggetto che conosce e concetti appresi, tutte le (vere) Tradizioni affermano con forza che la realtà può essere sperimentata solo non dualisticamente, senza scissione tra colui che conosce e l’oggetto della conoscenza, perché solo in questo modo l’universo non diventa illusione.

 

CONCLUSIONI
La fisica ha sperimentato che la particella sembra leggere il pensiero dell’osservatore, anticipando sempre la direzione scelta da lui … così si esprime Paul Davies : Lo strano servilismo che obbliga ogni particella rotante ad adottare la definizione angolare dello sperimentatore fa pensare all’esistenza di una Mente nella materia”.
Sembrerebbe che ogni cosa sia collegata ed ordinata da un’intelligenza “cosmica”, a maggior ragione nelle cellule biologiche ed in tutto ciò che nasce spontaneamente nella natura sembra esservi un’impronta divina, “universale”.
Giustamente Heisemberg afferma: “La coscienza umana è interconnessa con tutte le strutture dell’esistente, noi non osserviamo il mondo fisico, ma piuttosto vi partecipiamo. I nostri sensi non sono separati da ciò che esiste. Lo spirito e il mondo formano un’unica realtà, non possiamo percepire il mondo come qualcosa a sé stante perché siamo parte di esso”.
Ervin Laszlo, eminente studioso sistemista e presidente del Club di Budapest afferma:
I fisici quantistici sanno che esistono connessioni quasi istantanee tra le particelle che popolano lo spazio-tempo: ogni particella che abbia mai occupato il medesimo stato quantico di un'altra particella resta sottilmente ma efficacemente collegata a essa.
I cosmologi hanno scoperto che l’universo è "non locale" nella sua interezza, e manifesta correlazioni sorprendentemente precise tra tutte le proprie costanti e dimensioni di base.
Biologi e biofisici hanno scoperto rapporti altrettanto sorprendenti sia all'interno dell'organismo che tra l’organismo e il suo ambiente.
Le connessioni che vengono alla luce nei recessi più profondi della ricerca sulla coscienza sono altrettanto significative: esse testimoniano della spontanea interazione esistente tra la coscienza di un individuo e quella degli altri.
Le reti di connessioni che costituiscono un cosmo coerentemente in evoluzione (attraverso l'"entanglement" (INTRECCIO) delle particelle, la connessione istantanea tra organismi e ambienti, e tra le coscienze di esseri umani diversi e persino lontani fra loro), suggeriscono che nell'universo vi siano non soltanto materia ed energia, spazio e tempo.
C'e anche un elemento che collega e mette in relazione. Questo elemento fa parte dell'universo tanto quanto i campi elettromagnetici, i campi gravitazionali e i campi nucleari. E’ anch'esso un campo ansi un OLOCAMPO: un campo fondamentale tanto quanto l’elettromagnetismo e la gravità, tanto quanto quelli dei nuclei atomici.
L'idea che nell'universo vi sia qualcosa che collega e mette in relazione non è una nuova scoperta; si tratta essenzialmente di una ri-scoperta. Sotto forma di conoscenza profonda, essa è presente in tutte le grandi cosmologie, e in maniera più esplicita nella cosmologia indù. Li è nota come Akasha, il più fondamentale dei cinque elementi del cosmo - gli altri sono vata (aria), agni (fuoco), ap (acqua) e pritvi (terra).
L'Akasha ingloba le proprietà di tutti e cinque gli elementi; è l'utero dal quale è emersa ogni cosa e nel quale ogni cosa infine ridiscende. Esso è scaturito nei primi momenti della Creazione, apparendo inizialmente in forma grossolana come Sthula, ma diventando ben presto invisibile.
L'Akasha contiene in sé gli altri quattro elementi, ma è allo tempo stesso al di fuori di essi, poiché si trova fuori dal tempo e dallo spazio. E’ il luogo di nascita di tutte le cose, Madre universale, Matrice.
Nel suo classico Raja Yoga, Swami Vivekananda diede la seguente descrizione dell'Akasha:
Esso è l'esistenza onnipresente, che tutto pervade. Ogni cosa che abbia forma, ogni cosa che sia il risultato di una combinazione, si è evoluta dall'Akasha. E’ l’Akasha che diviene l’aria, che diventa i liquidi, che si trasforma nei solidi; è l’Akasha che diventa il Sole, la Terra, la Luna, le stelle, le comete; ed è l’Akasha che si trasforma nel corpo umano, nei corpi degli animali, delle piante, di ogni forma che vediamo, ogni cosa di cui possiamo fare esperienza con i sensi, ogni cosa che esiste. Esso non può essere percepito; è cosi sottile da essere al di là di qualsiasi percezione ordinaria; può essere visto soltanto quando è diventato grossolano, quando ha assunto una forma. All’inizio della creazione c'era soltanto l'Akasha. Al termine del ciclo i solidi, i liquidi e i gas si fondono nuovamente tutti nell'Akasha, e la creazione successiva sorge in modo simile a partire dall'Akasha.
Per dissolvere le cristallizzazioni, le maculazioni, le creazioni infere o subconscie ha molta importanza, senza dubbio, comprendere su che livello occorre operare per poter attuare il solve e il coagula..
L’Akasha è la quintessenza della materia, già ipotizzata nella Tradizione alchemica, (il suo corrispondente superiore e l’Akasha universale o Acque primordiali), e gli altri elementi (fuoco, aria, ecc.; oppure solido, liquido, gassoso, ecc.) nascono da esso. Noi siamo composti di metalli, di minerali, di elementi chimici che hanno origine dall'akasha. Se teniamo presente questa considerazione dovremo capire che per riplasmare un corpo bisogna operare o meditare a livello dell'akasha, mediante il fuoco solare manasico.
Questo tipo di meditazione appartiene allo Hatha yoga che mira a rendere il corpo longevo, armonico e esente da malattie.
Un centinaio di anni fa, Nikola Tesla (genio dissidente padre delle moderne tecnologie di comunicazione) diede nuova linfa al concetto di Akasha in un contesto scientifico moderno. Egli affermò che vi è un "veicolo originale" che riempie lo spazio, e lo comparò all'Akasha, l'etere portatore di luce. Nel suo documento mai pubblicato "Man's greatest achieve­ment" [La più grande conquista dell'uomo, 1907], Tesla scrisse che questo veicolo, una sorta di campo di forza, diviene materia quando il Prana, l'energia cosmica, agisce su di esso; quando la sua azione cessa, la materia svanisce e ritorna all'Akasha.
I fisici del novecento, rifiutarono di prendere in considerazione qualsiasi concetto di etere, veicolo o campo di forza che riempisse lo spazio. L'intuizione di Tesla fu screditata, e cadde quindi nell'oblio.
Ma oggi viene ripresa in considerazione. David Bohm, Harold Puthoff e un piccolo ma crescente gruppo di scienziati stanno riscoprendo il ruolo di un campo che collegherebbe e creerebbe la coerenza (rete): nel cosmo, nel mondo vivente, e anche nella sfera della mente e della coscienza.
Questo campo coerente e soggiacente non si trova al di fuori della natura: è il cuore stesso della natura. Esso è il terreno da cui traggono origine tutte le cose dell'universo, e anche la loro destinazione definitiva.
Si tratta del veicolo fondamentale del cosmo. Esso soggiace a tutte le particelle, a tutte le forze e a tutti i campi che governano le particelle e i sistemi costruiti sulle particelle, nello spazio e nel tempo (la Grande Madre che abbraccia tutte le cose).
La scienza non gli ha ancora dato un nome definitivo: è chiamato anche il vuoto quantico(noto anche come "vuoto unificato" o "nuether ") o OLOCAMPO (quinta essenza degli alchimisti).

La coscienza dello scienziato e l’apparecchio di misura interagiscono con le singole particelle e così le particelle cambiano direzione, … quindi, le nostre coscienze interagiscono con l’universo nella sua totalità, così pure un atomo del nostro pianeta interagisce con tutti gli atomi dell’universo.
L’universo e noi siamo un’unica inscindibile cosa.
Ogni cosa è collegata attraverso una RETE, un CAMPO invisibile, un OLOCAMPO o Vuoto quantico.
Dobbiamo quindi ammettere che il cosmo  è come ricolmo di informazioni e di intelligenze.
Dunque tutto è collegato, principio della “Onnipresenza”, in ogni luogo poi il Cosmo è ricolmo di informazioni, principio della “Onniscienza” ; ed infine abbiamo il principio della Onnipotenza” poiché la legge armonica di interconnessione esercita la sua potenza su ogni cosa.
Questa Forza, questa Energia primaria che compone il mondo, contiene in sé i principi di Onnipotenza, Onniscienza e Onnipotenza che trascendono il mondo sensibile.
Non sono forse questi gli attributi del Grande Architetto ?

La nuova fisica sembra proprio … postulare un Principio Superiore  Metafisico.

 

"Questo mondo è in realtà  un essere vivente con una propria anima e intelligenza".
(Timeo di Platone)

 

Riferimenti bibliografici

"LA Filosofia dell’Essere"– di Raphael - Ed. Asram Vidya
"Iniziazione alla filosofia di Platone" – di Raphael - Ed.Asram Vidya
Periodici Vidya - Ed.Asram Vidya
“Lo spettro della coscienza” di Ken Wilber – Ed. Crisalide
“RISACRALIZZARE IL COSMO”  di Ervin Laszlo – Ed. URЯA

 

             

 

 

 

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