REBIS IN ARTE REGIA

Rivista di Studi Muratori dell' Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
       Sovrano Santuario Italiano
Libera Muratoria Universale
Grande Oriente d'Italia

Web Magazine
Archivio numeri pubblicati

N.1
16 gennaio 2006


(G. Languasco)La Dinastia Perduta pdf

(M. Ghezzi)Immagine e Sociologia pdf

(Apis)Due Fratelli di Rito Egizio pdf

(G. Lombardo)Sabbia, Sale e Zolfo pdf

(P. Lucarelli)Ermetismo e Tradizione Arturiana pdf

(C. Bonvecchio)Essere Gnostici Oggi pdf

 

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L'attività editoriale della Rivista "REBIS IN ARTE REGIA" ha per scopo il sostegno, lo sviluppo e la diffusione della SCIENZA DELLO SPIRITO praticata nell'esperienza iniziatica e rituale della Libera Muratoria Universale.
Il progetto editoriale di "REBIS IN ARTE REGIA" comprende i seguenti temi:
la libera ricerca della verità;
la ricerca e la riscoperta degli archetipi spirituali nella religione, nella filosofia, nella scienza, nella letteratura e nell'arte;
la ricerca degli elementi essenziali e comuni nelle tradizioni mistiche ed iniziatiche occidentali ed orientali;
l'investigazione delle leggi meno note della natura e delle facoltà latenti nell'uomo;
la conoscenza della tradizione iniziatica occidentale, attraverso lo studio degli Ordini iniziatici più diffusi che si caratterizzano come scuole di vita, di pensiero e di auto formazione;
la riscoperta dei valori spirituali che contraddistinguono gli insegnamenti della Tradizione Muratoria Italico-mediterranea e della Tradizione Muratoria Nord Atlantica.




 IMMAGINE E SOCIOLOGIA DELLA CITTA' GLOBALE
di Morris Ghezzi


   Il tema da trattare presuppone immediatamente una distinzione, una contrapposizione concettuale, una dicotomia antitetica, da un lato, foriera di ulteriori distinzioni e, dall'altro lato, feconda di numerose e rilevanti conseguenze:  la distinzioni tra polis e contado, tra città e campagna. Non è certo casuale che il termine politica derivi da polis, dalla sua realtà storica e sociologica ( 1 ) .  Politica è arte di governare, di amministrare individui e gruppi, di organizzare per essi servizi, di garantire loro sicurezza e di favorirne lo sviluppo. Risulta subito evidente come il termine politica non possa descrivere l'operare delle faziosità di parte, delle varie partitocrazie, che di volta in volta aspirano ad impossessarsi del controllo della società nel sedicente interesse generale e nell'effettivo interesse della parte medesima.  Purtroppo, l'esperienza storica ci ha dimostrato  come le faziosità partitocratiche prevalgano sempre, con inesorabile puntualità, sulle migliori intenzioni e ciò non solo per gli antinomici conflitti di interesse esistenti tra individui e tra gruppi sociali, ma, soprattutto, per l'irrazionale fanatismo o la tirannica sete di potere di alcuni di essi.
Mentre nelle campagne prosperano anarchia individualistica, comunitarismo paternalistico di famiglie allargate o feudalesimo piramidale di signorotti più o meno potenti, negli agglomerati urbani, invece, nascono città-stato, liberi comuni e signorie ( 2 ). Dunque, l'arte della politica ha origine nelle città, non nelle campagne. Acutamente, infatti, sottolinea Rudolf von Jhering: << Dal punto di vista linguistico, la politica può essere detta lo sguardo del politicos, cioè dell'uomo che è scaltrito dalla vita nella comunità ( polis ), a differenza del contadino, che si limita a se stesso ed alla stretta cerchia degli interessi che lo riguardano direttamente. >> ( 3 ) .  Dove il tessuto urbano prevale, prevale anche una certa eguaglianza, che deriva dalla comune appartenenza alla città.  Tale relativa eguaglianza pone in primo piano quella comunanza di interessi che è propria del cittadino, ossia di colui che abita e vive nella città, e, conseguentemente, impone la ricerca di strumenti di confronto tra eguali, al fine di garantire l'esigenza, generalmente sentita, di sicurezza e di pace interna; in sintesi nasce il modello di governo democratico ( 4  ) .  Al contrario, i grandi spazzi di territorio delle campagne ed, ancor più, le strutturali diseguaglianze di nascita, di abilità militare e di censo, nonché l'estrema staticità dell'economia rurale, tendono a sviluppare sistemi di governo fortemente gerarchizzati in senso monarchico od aristocratico, non sempre nel significato migliore del termine.  Del resto, l'eguaglianza cittadina non scaturisce tanto da assenza di diseguaglianze di nascita o di ceto, quanto piuttosto da una profonda interdipedenza, frutto del dinamismo economico produttivo e commerciale e da una, altrettanto profonda, consapevolezza dell'esigenza di una solidale tutela degli interessi generali della città;  interessi questi effettivamente comuni a quasi tutti i suoi abitanti ( 5 ).
   La divisione del lavoro, in una economia dinamica, moltiplica sia prodotti e servizi con le relative abilità e competenze, sia interessi ed aspettative, che in qualche modo devono essere conosciuti e coordinati per poter essere soddisfatti ( 6 ).  Il modello democratico di governo, con la sua capacità di rendere palesi i conflitti attraverso il libero dibattito e di cercare, sempre in modo manifesto, un loro contenimento con soddisfazione, almeno parziale, di tutte le parti in lotta, si propone come il miglior modello, sino ad ora individuato, di governo dei sistemi sociali dinamici e composti da individui e gruppi che si presuppongono eguali per un qualche motivo: cittadinanza, etnia, cultura, religione, etc. . Qualche problema, e di non lieve momento, nasce quando tale eguaglianza, per un qualsiasi motivo, non può essere  presupposta. Difficilmente, infatti, la mitologica discendenza umana da un fantomatico Dio comune a tutte le religioni, l'universalità della ragione,  il fenotipo, il genotipo umano o quant'altro la fantasia e l'arbitrio possono generare riescono a comprendere sotto il proprio cappello tutti gli esseri umani, nessuno escluso, od almeno tutti quelli che così vengono definiti dal pensiero umanistico occidentale. Non è possibile dimenticare, infatti, che non solo le democrazie delle città - stato dell'antica Grecia  avevano schiavi, ma anche che tale istituto si è conservato nel mondo sino quasi ai giorni nostri ( 7 ) . Non solo; è facile constatare che il fenomeno della marginalizzazione, prima, e dell'espulsione, poi, è proprio di tutte le società esistenti e nelle città trova un fertile ambito di sviluppo ( 8 ) .
   A questo punto del ragionamento entra in campo il carattere globale, che, nel tema in discussione, si è voluto attribuire alla città per proiettarla nel nostro mondo contemporaneo e per consentire una riflessione rivolta anche verso il futuro.  Il concetto di globale e la sua progressiva estensione territoriale, espressa con il termine globalizzazione,  fanno riferimento al globo terrestre, all'universo conosciuto. Globale si contrappone a particolare ed indica due aspetti contemporaneamente coesistenti del fenomeno, ma di segno opposto rispetto alle conseguenze che producono: da un lato, il termine manifesta uniformità, omogeneità, omologazione e, dall'altro lato,  suggerisce l'estensione verso confini sempre più lontani di conoscenze, benessere e ricchezze.  Sarebbe errato sottoporre il concetto di globalizzazione a valutazioni di natura etica; in realtà siamo in presenza di un  fatto storico, di un evento connesso con lo sviluppo umano ( 9 ). Si tratta semplicemente di constatare che il progresso tecnologico e scientifico, sviluppandosi in modo crescente, facilita le comunicazioni e le rende più rapide, mettendo a disposizione di un numero sempre più vasto di persone i propri servizi. Sotto questo profilo la globalizzazione dovrebbe generalizzare ricchezze materiali e morali nel rispetto delle singole identità individuali, di gruppo e di luogo. Ovviamente ciò per lo più non avviene, sarebbe troppo bello se la realtà producesse spontaneamente situazioni positive.  Quindi è compito dell'opera umana cercare una positiva sintesi tra le opposte esigenze di globalizzare, da un lato, la conoscenza ed il benessere e di salvaguardare, dall'altro lato,  la ricchezza e la creatività insite nelle diversità, nelle particolarità.
   Ancora una volta ci viene incontro la tradizione politica nata dalle città. Se nel governo dei rapporti interni, ossia tra cittadini, essa ha generato la democrazia, nella gestione dei rapporti esterni, ossia con altre città, essa ha costruito il modello confederale. In questo modo si è prodotta un'estensione del concetto di essere umano e dei suoi diritti, basti pensare alla progressiva diffusione dei diritti umani ed ai continui tentativi di loro tutela giuridica, nonché una crescente diffusione del modello democratico di governo. Tale modello, nelle democrazie più avanzate, si è spontaneamente integrato con la forma di governo confederale, prima, e federale, poi ( Svizzera, Germania, U.S.A., Canada, Messico, etc. ). La confederazione altro non è che il naturale riconoscimento dell'eguale dignità, originalità e sovranità di tutte le città e la federazione è un tentativo di ottimizzare organizzazione e servizi in questo ambito di eguali ( 10 ).  Purtroppo, come nelle città non tutti gli abitanti sono cittadini, così anche le confederazioni escludono alcuni soggetti dall'eguaglianza  in quanto o   organizzati ad un livello inferiore o eccessivamente incombenti e pericolosi a causa  della loro forza,  arroganza e volontà di dominio.  E'  difficile, per non dire impossibile, porre un limite naturale e definitivo all'estensione dei concetti, in generale, e di quelli sociologici, in particolare.  Ad esempio, quali caratteri  definiscono e distinguono l'essere umano dagli altri esseri viventi ?  In modo ancora più esplicito ed esemplificativo, nonché per ricordare una polemica tuttora molto viva: quando l'embrione diviene essere umano ?  Ed ancora, per restare maggiormente aderenti all'argomento qui trattato, chi può fregiarsi del titolo di cittadino? Le definizioni appaiono tutte meramente arbitrarie, convenzionali, determinate dalla forza politica che è in grado di imporle.
   In ogni caso, fermi i concetti di essere umano, di cittadino, di città, di stato, etc., sempre relativi e propri di ciascuna epoca storica, la democrazia è strumento idoneo a governare esseri tra loro, per definizione, eguali ed il federalismo ad individuare ed a  gestire gli interessi prevalenti di questi esseri organizzati in città, stati, etc.. Del resto, chi meglio dei diretti interessati è titolato a conoscere e difendere i propri interessi ? ( 11 )
   Il modello democratico e federale non casualmente ha visto tra i propri sostenitori numerosi liberi muratori ( George Washington, Beniamino Franklin, Alexander Hamilton, Carlo Cattaneo, Giuseppe Montanelli, Pierre Joseph Proudhon, Napoleone Colajanni, Piero Camandrei, Ernesto Rossi,  etc. )  in quanto questo è proprio il modello di funzionamento interno delle singole Logge libero muratorie,  di unione delle singole Logge in Grandi Logge e di eventuale, ulteriore raggruppamento di queste ultime.  
   Nelle carte geografiche antiche i luoghi non conosciuti, inesplorati venivano indicati con la dicitura: Hic sunt leones. Oggi questa dicitura è scomparsa dalle carte geografiche della Terra e potrebbe essere apposta su quelle planetarie. La ricerca scientifica ed il progresso tecnologico, soprattutto nell'ambito delle comunicazioni, hanno  compiuto questa rivoluzione. La globalizzazione,  sostenuta da trasporti e mass media, ha spinto sempre più lontano i leoni, tuttavia essi, da qualche parte nell'Universo, continuano ad esistere, a vivere.  Le città sono il luogo di massimo sviluppo di questa globalizzazione giuocata più sull'immagine che sulla realtà.   Cultura, scienza, usi e costumi tendono ad uniformarsi nel mondo sotto la spinta delle immagini massmediologiche, ma queste immagini descrivono correttamente i fenomeni sociali ? ( 12 )   A mero titolo di esempio, il benessere materiale delle società occidentali, rappresentato per motivi pubblicitari nei messaggi televisivi, corrisponde effettivamente alla realtà maggioritaria e quotidiana che viviamo ?  E' difficile, senza essere considerati visionari, dare una risposta affermativa a tale domanda e la tragica realtà dell'attuale immigrazione clandestina extracomunitaria ne è la prova più evidente. Ed allora, che cosa globalizziamo ?  Forse, molto spesso solo speranze ed illusioni. Ma l'immagine, in qualche modo, è sempre un po' una illusione. Dunque, anche la città globale, in quanto immagine, ha natura in larga misura illusoria ( 13 ).
   L'immagine scaturisce dalla luce e si contrappone, quindi, alla tenebra, che cancella le forme in una uniforme oscurità.  Anche la città globale vive questa contrapposizione luce-ombra. L'aspetto/aspettativa della città globale  si presenta fortemente positivo. Immagini di servizi comuni efficienti, diffusi ed ottimizzati sorreggono aspettative di armonia, benessere e sicurezza. Ma la città globale è anche centro di gigantismo disumanizzante, di burocrazie cieche ed inefficienti, di paure inconsce e di disarmonie di varia natura ( 14 ). L'immagine di questa città oscura tende a scomparire nella comunicazione istituzionale. Essa sopravvive solo nell'analisi sociologica e nella critica politica, ma subito un ulteriore anticorpo si mette in azione per marginalizzare disarmonie, diseguaglianze verso il basso e delusioni. La marginalità inutile, povera, dannosa, criminale, in fine, diviene tenebra con la sua definitiva espulsione dalla città visibile.    Questa espulsione opera rompendo il rapporto funzionale, che lega, entro un modello sinergico, le molteplici operatività umane. Quando la funzionalità sociale dell'essere umano si muta in disfunzionalità,  l'organizzazione procede alla sua automatica espulsione, alla sua cancellazione dall'universo visibile ( 15 ) . La marginalizzazione del mondo esterno alla società, alla città, allo stato, etc. è processo consueto e naturale, ma la marginalizzazione opera anche all'interno di tali realtà sovraindividuali ed, in questo caso, le zone d'ombra della globalizzazione non si estendono  solo alla patria dei leoni, ma oscurano anche il paesaggio famigliare e conosciuto delle nostre case, dei nostri villaggi, delle nostre città. Si potrebbe dire: la tenebra vive tra noi, ma, in quanto tale, abbiamo difficoltà a vederla, ad individuarla.  Il marginale è diverso, è altro da noi . Egli deve uscire dall'ombra per poter ritornare soggetto visibile a noi assimilabile. Come si è già detto, l'integrazione può avvenire solo tra eguali o, se si preferisce per prudenza, tra simili e questa ricerca di somiglianza, di assimilazione poggia le proprie basi su una qualche forma di comunanza, oggi per lo più culturale. Ciò che non si comprende è comunque estraneo, nemico ed è a questo punto che la tolleranza può divenire metodo conoscitivo ed il pluralismo possibilità di convivenza pacifica ( 16 ). << Tu hai portato con te, nella tua mente, il peccatore, per questo l'hai trovato, per questo hai creduto di vederlo dappertutto. Non chiamare gli uomini peccatori e non  lo saranno: sei tu soltanto a creare i peccatori: tu che credi di amare gli uomini, proprio tu li getti nel fango del peccato, proprio tu li dividi in viziosi e virtuosi, in umani e disumani, proprio tu li insozzi con la bava della tua possessione; tu infatti non ami gli uomini, ma l' uomo. Ma io ti dico che non hai mai visto un peccatore: l'hai solo - sognato. >> ( 17 ) . La sfida mossa dalla globalizzazione sembrerebbe aver trovato nel pluralismo tollerante una formula magica, che garantisca il successo, una soluzione all'insanabile contrasto tra  luci ed ombre della città globale. Non illudiamoci.
   Il processo di globalizzazione, sostenuto dalla tecnologia, non si arresta a questo punto, a questo livello di città globale. Esso prosegue, abbandonando gli spazi geografici, per creare nuovi spazi virtuali; l'immagine da luce diviene sensazione e pensiero e la città globale assume una dimensione immateriale.  Scompaiono le storiche mura cittadine; vengono meno anche le delimitazioni urbanistiche ed amministrative. Dapprima i soli punti cardinali riescono ancora a contenere la città globale in rapida espansione, ma, poi, la comunicazione cancella la spazio e  riduce tutto a rapporto tra individui fisicamente distanti e non tangibili;  in fine, anche il rapporto tra individui reali cede il passo  ad una rete virtuale entro la quale si ignora la natura dei soggetti partecipanti e non è possibile escludere l'immaterialità dell'interlocutore e del rapporto, ossia della rete medesima e della città globale, che esprime. La città globale dagli spazi infiniti dei punti cardinali, dello Zenit e del Nadir  rientra in noi stessi; si riduce al nostro vissuto, alle percezioni, ai ricordi, alle fantasie, che animano la nostra mente. L'immaterialità ( per quanto, al fine di intendersi, si possa definire immateriale un fenomeno comunque esistente ) è effettivamente infinita e globale, ma, forse, anche dotata di livelli di esistenza ai quali le nostre attuali esigenze di vita non si sono ancora compiutamente adattate.
   Già il richiamo alla democrazia, al federalismo e, non ultimo, al metodo della tolleranza ci aveva condotto entro l'esperienza massonica, ma ora, che il quadro della città globale appare nell'evoluzione delle sue articolazioni storiche, è possibile tracciare un parallelo tra i gradi azzurri della Libera Muratoria (  18 ) e lo sviluppo descritto . Dalla città, intesa in senso concreto, materiale e fattuale, si passa alla sua ulteriore evoluzione in senso astratto, virtuale e valoriale, legato ad aspettative, relazioni ed utopie; ma il futuro sembra riservarci una visione che colloca la città all'interno della nostra medesima soggettività, che si identifica con noi stessi.  Seguendo il medesimo percorso, nell'iniziazione massonica, il grado di Apprendista Libero Muratore insegna ad operare sulla materia grezza: … giacché in grazia dell'ora e dell'età è ormai tempo di aprire i nostri Architettonici Lavori …, recita il rituale di apertura dei lavori muratori in primo grado.  Architettonici, ossia rivolti alla costruzione di palazzi, di cattedrali, di ponti,….di città; si tratta di circoscrivere il luogo, tracciare le dimensioni, determinare gli edifici da costruire, porre le istituzioni di governo, organizzare la vita quotidiana, fornire servizi, promuovere traffici e comunicazioni, etc.. Con il secondo grado, quello di Compagno d'Arte, l'attività da svolgere  viene definita geometrica  ed è diretta ad ottimizzare, attraverso il contributo della razionalità astratta, la materia appena sgrezzata,  donandole forme e misure spaziali perfette, talvolta auree.   Parallelamente la città, a questo livello di sviluppo, incarna utopie ( 19 ), cerca di soddisfare le aspettative dei suoi cittadini, elabora valori, instaura relazioni intersoggettive e produce realtà virtuali. In fine, il grado di Maestro Libero Muratore compie un salto qualitativo che dall'esterno dell'essere umano conduce al suo interno. Il rituale di apertura dei lavori muratori in terzo grado è particolarmente chiaro in proposito:  …vi prego di compiere sull'Altare il Rito che ciascuno di noi, in questo momento, deve compiere interiormente  ( 20 ) . In termini simbolici, sovrapporre il compasso alla squadra, ossia il cerchio al quadrato, il mondo spirituale infinito a quello materiale finito; operazione che  dovrebbe produrre vita intelligente nella pietra perfettamente squadrata, levigata, cubica, in altre parole, quella individuale crescita  interiore, che sola può fornire la completa consapevolezza di se stessi. La città si trasforma, in questo modo, nell'identità medesima dell'individuo, in una componente della sua autoconsapevolezza, diviene un fenomeno di natura non più solo politico - materiale, ma anche politico - spirituale. Ritorna l'unitarietà dell'antica polis  in un ambito più elevato di spiritualità, al contempo sociale ed individuale ( 21 ).  Il tempio civico di questa spiritualità dovrebbe risiedere in noi stessi, nella nostra capacità morale di essere cittadini entro di noi prima che fuori di noi e nella capacità politica della città globale di vivere nei cittadini prima che nella burocrazia  e nel potere delle istituzioni.
   Ovviamente i tre stadi descritti non devono essere intesi come fasi successive di sviluppo storico, ma come tematiche concettualmente separate, anche se cronologicamente sovrapponibili e talvolta effettivamente sovrapposte. Del resto, non diversamente, i primi tre gradi libero muratori altro non sono che il  completamento, i tre volti di un'unica  iniziazione, quella a Libero Muratore  appunto. In ogni caso, è bene ricordare che la storia non si ferma e né  i volti della città globale, né quelli del Massone,  possono essere ridotti, cristallizzati solo entro gli schemi oggi a noi noti.




N O T E  


1)<< Gran parte degli ideali politici moderni  - come ad esempio la giustizia, la libertà, il governo costituzionale, il rispetto per la legge -  o almeno la loro definizione, traggono origine dalla riflessione dei pensatori greci intorno alle istituzioni della città-stato. Ma nella lunga storia del pensiero politico, il significato di tali termini è stato variamente modificato, e sempre è stato inteso in rapporto alle istituzioni da cui questi ideali dovevano essere attuati ed alla società in cui a loro volta queste operarono. >> G.H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Edizioni di Comunità, Milano 1959, p. 3.
2)<< La città ( polis ), cioè la vita cittadina con i suoi incessanti e reciproci incontri e scontri, è condizione e matrice d'ogni civiltà; non soltanto della civiltà politica  ( cui si pensa subito, davanti a quella parola greca ), bensì di ogni altra: della civiltà intellettuale, etica, economica, artistica, cioè di tutto lo sviluppo di un popolo. >>. R. von Jhering, Lo scopo nel diritto, Einaudi, Torino 1972, p. 75.   
3) R. von Jhering, ibidem, p. 392.
4) << La civiltà, come noi la conosciamo, è inseparabile dalla vita urbana. Quasi tutto quel che distingue una società civile da una primitiva è intimamente connesso con i grandi agglomerati di popolazione che noi chiamiamo città, e quando parliamo di urbanità, di civismo o buona educazione, ci riferiamo ad aspetti del modo di vita cittadino. Anche molte delle differenze tra la vita delle attuali popolazioni rurali e quella dei popoli primitivi sono dovute a quanto forniscono le città.  Anzi, solo la possibilità di godere dei prodotti della città, nelle civiltà progredite, spesso fa apparire la vita oziosa in campagna come un ideale di vita colta. >> . F.A. Hayek, La società libera, Vallecchi, Firenze1969, p.380.    
5) <<… lo scambio di servigi richiede un altro principio di quasi eguale importanza, la divisione del lavoro e la specializzazione dei compiti. Infatti se i bisogni sono soddisfatti scambievolmente, ognuno deve avere più di quanto abbisogni di ciò che offre, appunto come deve avere meno di quanto abbisogni di ciò che riceve. E' quindi evidente che ci dovranno essere delle specializzazioni. >> G.H.  Sabine, cit., p. 40.
6) << La nozione sociologica di divisione del lavoro, originariamente legata a una concezione economicistica  di  `lavoro'  ( è soprattutto  in questa accezione che la ritroviamo in A. Smith e in Marx ), è andata progressivamente liberandosene: prima con Durkheim, che ha generalizzato tale  `lavoro' a  `funzione'; in seguito, con la microsociologia, soprattutto di ispirazione funzionalistica, che ha definitivamente introdotto, nella categoria  `lavoro', qualsiasi attività ( fino alla semplice espressione di emozioni ), e qualsiasi comportamento,  ivi compresi l'accettare, il subire, lo stare silenziosi, il fungere da capro espiatorio, ecc., all'interno di una situazione caratterizzata dalla compresenza di più attori. >> .G.A. Gilli, Origini dell'eguaglianza. Ricerche sociologiche sull'antica Grecia, Einaudi, Torino 1988, p. 100, n. 1. Ai nostri fini cfr., in particolare, E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale,  Edizioni di Comunità, Milano 1962.   
7) << I cittadini sono politikòi: lo svolgimento dell'attività politica, che è compito esclusivo del cittadino, li caratterizza fin nella designazione……>> G.A. Gilli, cit. , p. 47. Ovviamente, come è noto, non tutti gli abitanti delle città-stato greche erano cittadini: << Il meteco, come lo schiavo, non partecipava alla vita politica della città,…>> . G.H. Sabine, cit., p. 4.  
8)  Cfr. G. Canepa, T. Bandini, Città e criminalità, Angeli, Milano 1984.
9) Cfr.  M.L.  Ghezzi, Villaggio globale e federalismo nella tradizione massonica, in Il Laboratorio, n. 45, gennaio - febbraio 2000, pp. 31 - 37.  
10) Cfr. M.L. Ghezzi, Federalismo, vol. I e II, Palermo Patera Editore, Milano 1992 - 1994.
11) << Tutta la storia del pensiero politico può essere considerata come una lunga              ininterrotta appassionata discussione intorno ai vari modi di limitare il potere: fra questi è il metodo democratico. Uno degli argomenti forti in favore della democrazia è che il popolo non può abusare del potere contro se stesso, o, detto altrimenti, là dove il legislatore e il destinatario della legge sono la stessa persona, il primo non può prevaricare sul secondo. L'argomento utilitaristico è quello che si fonda su un'altra massima d'esperienza ( meno solida a dire il vero ), quella secondo cui i migliori interpreti dell'interesse collettivo sono coloro che fanno parte della collettività, del cui interesse si tratta, cioè gli stessi interessati: in questo senso, vox populi vox dei. >>. N. Bobbio, Stato, governo, società, Einaudi, Torino 1985, p. 137.
12)   << In genere rispondo che non stanno formulando la domanda nel modo giusto. Nessuno dovrebbe chiedere a me o a qualsiasi altra persona dove cercare per avere una visione accurata della realtà: dovrebbero chiederlo a se stessi. Mi possono chiedere quali mezzi riflettono la mia interpretazione delle cose, e io posso indicare dove attingere materiale che esamina il mondo nel modo che ritengo più giusto, ma tocca agli interessati decidere se quel modo è corretto  oppure no. Alla fine è la vostra testa che deve decidere: dovete far ricorso al vostro buon senso e alla vostra intelligenza, non potete affidarvi a nessun altro quando cercate la verità. >> . N. Chomsky, Capire il potere, Tropea, Milano 2002, p.399.    
13)   << Gli iconolatri di Bisanzio erano gente sottile, che pretendeva di rappresentare Dio per la sua massima gloria, ma che, simulando Dio nelle immagini, dissimulava per ciò stesso il problema della sua esistenza. Dietro ciascuna di esse, di fatto, Dio era scomparso. Non era morto, era scomparso. La questione, cioè, non si poneva  neppure più. Era risolta dalla simulazione. Così ci comportiamo col problema della verità o della realtà di questo mondo: l'abbiamo risolto con la simulazione tecnica, e con la profusione   di immagini  in cui non c'è niente da vedere. Ma la strategia di Dio non consiste forse nell'approfondire delle immagini per scomparire, obbedendo lui stesso alla pulsione di non lasciare tracce ?  E così la profezia è realizzata: viviamo in un mondo in cui la suprema funzione del segno è quella di far scomparire la realtà e di mascherare nel contempo questa scomparsa. Oggi l'arte non fa altro. Oggi i media non fanno altro. Ecco perché sono condannati al medesimo destino. >> . J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione uccide la realtà ?, Cortina, Milano 1996, p. 9.  La simulazione appaga le nostre speranze ed aspettative con illusioni.
14)  << La nostra vita è un continuo processo di trasformazione dei materiali inerti in organismi e di questi in idee, ma è accaduto qualcosa che vela la coscienza di questo processo: in suo luogo vediamo ogni giorno che le idee si appesantiscono e si trasformano in organismi politici, economici, meccanici e che questi si trasformano in materiali inerti: uomini soli, slogan, cifre, ingranaggi. Dobbiamo dunque pensare anche il processo vitale se  non vogliamo che esso si svolga alla rovescia. >>.  V. Mazzucconi, La città a immagine e somiglianza dell'uomo, Hoepli, Milano 1967, p. 12.
15)  Già in epoca medioevale, come ricorda Michel Foucault, gli indesiderati ed, in particolare, i folli venivano internati in luoghi separati dal resto della società o, addirittura, cacciatati dalle città, successivamente:<<  [è] un fatto che noi possiamo trovare una somiglianza tra gli internati del XVIII secolo e il nostro personaggio contemporaneo dell'asociale; ma ciò appartiene probabilmente all'ordine dei risultati: poiché questo personaggio è stato suscitato dal gesto stesso della segregazione ……. è stato riconosciuto come straniero dalla società che l'aveva cacciato e come irriducibile alle sue esigenze; egli è allora diventato,….. , il candidato indifferenziato a tutte le prigioni, a tutti gli asili, a tutte le punizioni. Egli non rappresenta in realtà se non lo schema di esclusioni sovrapposte.  Questo gesto che proscrive è altrettanto repentino di quello che ha isolato i lebbrosi; ma, come per quest'ultimo, non bisogna cercarne il significato nel suo risultato. I lebbrosi non furono cacciati per arrestare il contagio;…..Senza dubbio il gesto aveva un'altra profondità: ….. Esso suscitava lo Straniero proprio là dove nessuno l'aveva presentito; rompeva la trama, scioglieva la familiarità; per mezzo suo qualcosa di umano è stato messo fuori della porta dell'uomo, e retrocesso …..In una parola si può affermare che quel gesto ha creato un'alienazione. >>. M. Foucault, Storia della follia nell'età classica, Rizzoli, Milano 1979, pp. 115 - 116.
16)  Cfr. M. L. Ghezzi, Tolleranza come etica e come gnoseologia, in M. Bianca, E. Tedeschi ( a cura di ), Etica della tolleranza, A. Pontecorvo Editore, Firenze 1997, pp. 7 - 12. Vedere anche del medesimo Autore: Renato Treves: la politica della tolleranza liberale, in V. Ferrari, M. L. Ghezzi, N. Gridelli Velicogna ( a cura di ), Diritto, cultura e libertà, Atti del convegno in memoria di Renato Treves, Giuffrè, Milano 1997, pp. 547 - 576.
17)  M. Stirner, L'Unico, Adelphi Edizioni, Milano 1979, pp. 374 - 375.  
18) Cfr., S. Farina, Massoneria azzurra, Edizioni Arktos, Carmagnola  1985.
19) << ….al di là di questa o di quella visione utopistica della città, si ritrovano le condizioni storiche di un certo immaginario sociale che fanno sì che a una data epoca il suo ambito non sia affatto illimitato. ……Tale fenomeno deriva, innanzitutto,  dalla subordinazione del tema della città a un certo ideale della razionalità felice o, se si preferisce, della felicità razionale. …….La visione della città è semplicemente uno schermo su cui viene proiettato questo ideale che si cerca di concretizzare in un complesso di immagini: donde il bizzarro miscuglio di concreto e di astratto, della visione globale e del piccolo dettaglio pittoresco. Questi dettagli non confondono affatto l'immagine, ma hanno la funzione di porre in evidenza la perfetta trasparenza della città rispetto ai principi che ne sono alla base. Sono questi stessi principi che presiedono alla società nel suo complesso e la città è soltanto una sorta di spazializzazione di valori sociali, morali ed estetici, la loro rappresentazione nello spazio. Così, le linee e le forme regolari, i quadrati, i cerchi, i cubi, ecc. sono altrettanti segni che ci consentono di leggere nello spazio l'ordine, o piuttosto l'idea d'ordine che presiede alla vita sociale. >>.  B. Braczko, L' Utopia, Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1979, pp. 321 - 322.  E' interessante ricordare le utopiche città narrate da Francesco Bacone nella Nuova Atlantide, da Tommaso Campanella Nella Città del Sole e da Tommaso Moro in Utopia.
20) Vedere Massoneria Italiana Grande Oriente d'Italia Palazzo Giustiniani, Rituali dei Gradi Simbolici, Roma 5969/5992 A:.V:.L:. 1969/1992 E:.V:., rispettivamente: Apprendista Libero Muratore, p. 16; Compagno d'Arte, p. 52; Maestro Libero Muratore, p. 76.
21) << Le  attività cittadine si svolgono [ nelle città-stato dell'antica Grecia ] mediante la          volontaria collaborazione dei cittadini e il principale strumento di questa collaborazione consiste nella piena e libera discussione politica in tutti i suoi aspetti. >> G.H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, cit., p. 14.      



 LA DINASTIA PERDUTA
di Giustino Languasco



In questo seminario mi sono proposto di effettuare una comunicazione il cui scopo fosse quello di mettere al corrente sullo stato dell'arte in un settore di studi particolare.  Meglio, in un settore di studi che per noi, appartenenti in modo appassionato al venerabile Antico e Primitivo Rito orientale di Memphis e Misraim, dovrebbe rivestire particolare interesse.
E' ben noto che i nostri rituali del G.O.I., ahimè, si siano impoveriti nel tempo ed abbiano perso, strada facendo e per cosciente operare anti-tradizionale, sia i catechismi collegati ai tre gradi, sia la leggenda storica da leggere ad ogni neofita, all'atto della sua iniziazione. E' altresì noto che i lavori della Commissione Permanente sui Rituali del GOI, almeno a leggere dai resoconti ufficiali che essa presenta annualmente in Gran Loggia,  non vada certo nel senso del recupero di detti apporti tradizionali.
Capita così assai spesso di incontrare molti massoni, anche aventi il grado di maestro, del tutto ignari  persino della semplice esistenza di tali documenti e del tutto digiuni del fatto che la "leggenda" dell'Ordine, quella che fa risalire ad Adamo la nascita della Massoneria, era parte integrante e non secondaria delle Costituzioni del 1723 della Gran Loggia di Londra: risultato degli studi operati sulle "antiche carte delle massonerie di Italia, Francia, Inghilterra" da parte di una  Commissione Storica appositamente costituita, ed espressamente votato ed approvato dalla Gran Loggia medesima.
Si tratta di una vera e propria "rimozione" coscientemente effettuata: ne consegue che, di fatto, viene misconosciuta la anzianità della nostra Istituzione e vengono  spesso messi alla berlina , da parte degli ignoranti, i sostenitori di essa. Si sbeffeggia l'anzianità della Istituzione e dei suoi rituali, considerati alla stregua, nel migliore dei casi, di invenzioni fantasiose di singoli individui o gruppi poco o punto qualificati  in campo iniziatico.

Ritengo pertanto che ogni  serio contributo nel campo dell'indagine storica , che possa spostare indietro nel tempo le lancette dell'anzianità della nostra Istituzione rispetto al fatidico 1717, sia da approfondire ed apprezzare, in modo particolare poi quando esso proviene da studiosi profani, non massoni, e quindi al riparo dalla accusa di muovere in modo precostituito o preconcetto in favore di tesi "interne" al dibattito nella Istituzione.

Sono dunque qui a segnalare l'operato in tal senso, seppure con differente modalità e spessore, di due scrittori profani. Ritengo siano pietre miliari gli studi del Dott. David Stevenson dell'Università di Edinburgo. Ad egli si deve la pubblicazione di due volumi, purtroppo non ancora tradotti ed editati in lingua italiana: "The Scotland's century" e " The First Free Masons": in essi  si documenta  in modo incontrovertibile l'esistenza in terra di Scozia, fin dal 1602, e fino a tutto il 1717, di logge massoniche ritualmente operanti e tramandanti , tra l'altro, la "leggenda dell'ordine". Logge dovute alla riforma operata da Schaw sulla preesistente struttura e rete di logge ( a cui però l'indagine non viene estesa ): e si tratta di Logge che non possono già più essere definite con la infelice espressione molto diffusa e da me non condivisa di  Logge "operative". Sia perché la attestata composizione non è già più di soli praticanti il mestiere dell'edile, sia perché risulta, seppure in via indiziaria e congetturale, data la stringatezza dei verbali delle tornate (fenomeno peraltro ancora oggi riscontrabile nelle odierne verbalizzazioni di tornata) il compimento di "lavori" non semplicemente "edilizi", bensì anche, oggi diremmo, "speculativi" .
Il Dott. David Stevenson è uno storico di professione, docente universitario e dunque proviene, per mentalità e formazione , dal mondo profano: a lui dobbiamo l'arretramento delle lancette dell'orologio, misurante l'anzianità  della Istituzione, di circa 120 anni rispetto al 1717. Siamo così alle soglie dell'attività delle Accademie Rinascimentali e della proto-massoneria italica. Un collegamento che colma uno strappo temporale…un buon auspico per l'avvio di ulteriori studi sulle strutture massoniche ancora antecedenti.

Ma, considerato il tema dell'odierno seminario " Il Tempio di Salomone" , nonché la mia convinzione che  gli scritti del Prof. Stevenson avranno sempre più diffusione e considerazione per propria intrinseca forza ed importanza, intendo dedicare il resto del mio intervento all'opera di un altro scrittore profano, un giornalista che, viaggiando, è rimasto affascinato dalla civiltà egizia, fino a farne il suo campo di indagine e studio preferito: Ralph Ellis. Tale scrittore, ad oggi, ha pubblicato sei o sette volumi, in lingua inglese, sull'antica civiltà egiziana. Di essi solo uno è stato tradotto in italiano: " La dinastia perduta" ed editato dalla Newton Compton editrice nel 2001.
Nel rimandare chi fosse interessato alla diretta lettura di tali opere, mi limiterò qui a richiamare una della principali tesi sostenute dall'autore nell'unico libro uscito in lingua italiana, ciò perché tale tesi, ove accettata, verrebbe a costituire il ritrovamento  di quella sorta di "anello mancante" a testimoniare la continuità di trasmissione iniziatica tradizionale dall'Antico Egitto, alla civiltà ebraica e da esse alla Massoneria.

Ciò cui Ellis tenta di rispondere è un quesito storiografico classico: si sa poco o niente dei faraoni della XXI dinastia Tinita, quella andata al potere in Egitto (nel basso Egitto)  a seguito della invasione Hiksos. Il cosiddetto terzo periodo intermedio è avaro di informazioni storiche sui faraoni di questa dinastia: in particolare dà pochi risultati uno dei metodi storiografici scientificamente accettati: il riscontro su testi coevi o temporalmente poco distanti dei nominativi e delle storie dei personaggi storici ( i faraoni , nel nostro caso) .
Almeno fino ad Ellis, che accusa gli storici di professione di essere stati , per vari motivi e a seguito di varie cause, fortemente miopi: i riscontri coevi ( stiamo parlando del periodo storico che va approssimativamente dal 1070 fino al 945  a.c.) ci sarebbero e sarebbero sul libro più diffuso al mondo: la Bibbia.
La tesi è che , sotto i nomi dei faraoni della XXI dinastia, si nasconderebbero i nomi dei Re Ebrei, da Salomone a Davide, i quali, discesi in Egitto a capo del popolo Apiru al seguito della invasione Hiksos, avrebbero assunto la  dignità faraonica, indossando la corona del Basso Egitto: tesi difesa sulla base di vari indizi storici concomitanti ed avente a fondamento un'analisi linguistica comparata.
Qui di seguito riporto  il confronto fra i nominativi Biblici e quelli Storici, così come li fornisce l'autore:

Biblico     
Ez- -ron
Storico     
Esses- -ram (Ramesses X)
Biblico     
Ram
Storico     
Ram- -esses  (Ramesses XI)
Biblico     
Ammin- -nad -dab
Storico     
Amen- -Nes -ba -neb -djed
Biblico     
Nah- -shon
Storico     
Amenem -Ne  -shu
Biblico     
S- -almon
Storico     
Si- -amun
Biblico     
B- -Oaz
Storico     
Bas- -Uas- -orkon
Biblico     
... Obed
Storico     
Amenem- -Opet
Biblico     
Je- -sse
Storico     
Har- -siese
Biblico     
David
Storico     
Psusennes II

Questa rilettura permette dunque di accostare ed interpretare  le due dinastie e farne in realtà una sola: un rafforzamento della tesi può altresì riscontrarsi nella incerta vocalizzazione dei nomi, dato che le lingue sacre ci tramandano solo le consonanti dei termini ma non le vocali. E' dunque legittima una lettura che preveda l'inserimento di vocali diverse da quelle comunemente accettate per permettere la pronuncia del termine ( l'esempio del tetragrammaton e delle sue differenti vocalizzazioni è troppo noto a tutti per dovere ripeterlo in questa sede).


Ezron (Hezron)
Ramesses
Ram     
Ramesses
Amminadab     
Amen-Nesbanebdjed (Smendes)
Nahshon     
Nemneshu (Amenemnishu)
Salmon     
Siamun
Boaz     
Bas-Uasorkon
Obed     
Amenemopet
Jesse      
Harsiese
David     
Psusennes II


A questo punto di forza, va contrapposto l'unico vero punto di debolezza "linguistico" della tesi: quello che appare inconciliabile, almeno a prima vista, è proprio l'ultimo nominativo della lista. Psusenne pare proprio distante da David.
R. Ellis dunque si concentra nell'intento di scoprire e verificare se e come sia superabile tale difficoltà linguistica: la tesi che propone è quella della "pars pro-toto": una parte del nome, particolarmente complesso ed articolato, del faraone sarebbe popolarmente usata per designarlo. La parte  "più significativa".
Il vero nominativo geroglifico di Psusenne , attestato dagli scavi archeologici effettuati da P. Montet nella sua capitale Tanis, situata sulla parte orientale del delta del Nilo,  è :

Pa-seba-kha-en-nuit. La stella che sorse sulla città (meritamon - amato da Amon)
 

dove seba= stella   da "sb" secondo il dizionario demotico. Questa sarebbe la parte "più significativa" del nome Faraonico.

Ma cosa c'entra Davide con la Stella: Davide biblicamente è associato in modo ricorrente a due sostantivi: Stella e Città. Ma Ellis propone anche un'etimo per il nome "davide": le consonanti coinvolte sono infatti DVD, intercambiabili cin DUD o DUT. L'autore pertanto ci ricorda che gli antichi egizi per indicare la stella ( o meglio una regione stellare) disponevano di un altro vocabolo, particolarmente sacro : "duat" quello che ritroviamo nell' "am duat" il libro dell'uscita alla luce, erroneamente ed ancora oggi conosciuto come "libro egiziano dei morti".


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DVD starebbe dunque per DUAT, ovvero la STELLA: in questo modo anche l'ultimo faraone della serie verrebbe a coincidere.

La tesi è molto interessante e suggestiva. Fin qui R.Ellis che comunque approfondisce e sviluppa le conseguenze di questo assimilazione fondamentale delle due dinastie e alla cui diretta lettura rimando, data la necessaria brevità ed estrema sintesi della presente citazione.
     Premesso dunque che una spiegazione (quella di Ellis) è comunque meglio, sempre secondo il metodo scientifico storiografico, di nessuna spiegazione, e fermo restando il principio base dell'evoluzione scientifica, che una spiegazione resta valida fino a che essa non viene falsificata e sostituita da un'altra che meglio spiega il fenomeno o il dato storico, è evidente che tale notizia costituisce per noi particolare rilevanza.

E' l'anello mancante della avvenuta diretta trasmissione sapienziale ed  iniziatica tradizionale dall'antico Egitto , ove massimi depositari ne erano i faraoni, alla civiltà ebraica  ( senza peraltro dimenticare che pure gli imperatori romani vollero farsi faraoni, allorquando l'Egitto divenne provincia romana, proprio a perpetuare la continuazione della sapienza egizia, di cui le attestate cerimonie isiache sul lago di Nemi e l'originaria strutturazione del complesso monumentale della piramide Cestia sono, ad esempio,  solo due delle tante emergenze storico archeologiche emerse ma scarsamente o punto indagate).

Fra le tante considerazioni che possiamo trarne, mi limito a sottolineare come l'incerta etimologia della colonna BOAZ ( o BOOZ) del Tempio di Salomone, riprodotta nel tempio massonico, trova una convincente spiegazione.
Si tratterebbe del patronimico di uno dei più importanti faraoni della XXI dinastia Tinita B.uas (Bs Uas) osokron. Laddove Uas è il ben noto scettro "potenza " impugnato da Atum, Amon ed altre Neteru dell'antico Egitto. E dove B indica cavità, secondo l'antico dizionario demotico egiziano. Dunque "forza, potenza nella cavità". Il che oltre a spiegare il nome noto della colonna e pressocchè coincidente  con quello di derivazione ebraica comunemente accettato in massoneria, richiama l'attenzione ed al contempo spiega l'antica usanza della cavità della colonna in cui ricoverare gli strumenti di lavoro della loggia. Davvero…la forza del lavoro dentro la cavità della colonna …

Peraltro anche le anomale dimensioni , riportate dal racconto biblico,  della colonna Boaz riceverebbero una spiegazione come applicazione pratica  in derivazione dallo scettro Uas. Sappiamo infatti che, associato al pilastro Djed, che veniva piantato al suolo ( nel punto geodetico di forza preventivamente identificato ), lo Uas veniva inforcato su di  questi  mediante la sua parte terminale e serviva a delineare sul terreno lo spazio sacro, i due cerchi perfetti e concentrici, simbolo geroglifico di Atum, mediante la rotazione successiva ed alternata dell'altra parte terminale del bastone, quella a forma stilizzata del canide Upuaut.

Così si aveva un sostituto del compasso, che tracciava al suolo la proiezione di base della piramide e definiva nei due cerchi concentrici esterni lo spessore della parete della stessa. Su di essa si sviluppava la colonna a rappresentare la corrente ascensionale dalla terra verso il cielo , fungendo da porta di comunicazione fra i due mondi ( peraltro bs , sta in egiziano, per porta, dal che Bes o dio della porta, come figura anche nella Porta Ermetica di Roma).

Abbiamo così ritrovato nel tempio massonico il portato della antica sapienza iniziatica egizia.

Per concludere, alcune brevi considerazioni: non dovrebbe risultare eccessivamente scandaloso e inaccettabile il fatto che, per un certo periodo di tempo, la dignità di Faraone sia stata ricoperta da appartenenti a popoli diversi da quello originario egiziano: nei periodi di decadenza o di crisi sono infatti storicamente accertati faraoni neri nubiani, libici, asiatico-siriani. Potrebbero starci dunque anche uno e più faraoni Apiru, visto e considerato che appare pure attestato storiograficamente  che gli estensori dell'Esodo padroneggiassero bene e si esprimessero pure con l'uso dei geroglifici.

La domanda critica piuttosto sarebbe: ma come mai la Bibbia non ne parla, di tale dignità faraonica di Boaz , Salomone e Davide ? Ma siamo proprio sicuri che non ne parli ? Certamente non in modo esplicito, ma alcune grosse perplessità indotte dalla narrazione biblica, e che da sempre arrovellano i commentatori biblici,  possono indurci a ritenere che la appartenenza al "politeismo" egiziano di Boaz, Salomone e Davide sia stata vista così di malocchhio da parte dei monoteisti Jahivisti , da espungerla dal  testo "canonico". Tale espunzione però lascia in sospeso delle pesanti contraddizioni:
- 1) come mai David non poté edificare il primo Tempio, pur avendone ricevuto la rivelazione divina dei piani di costruzione ? L'esegesi biblica sia giudaica che cristiana in fondo non risolve questo dilemma e si abbarbica alla debole ipotesi dell'adulterio con "assassinio" di Uria l'Hittita. Eppure Salomone, che è detto costruttore del primo tempio,  non era meno adultero ( e suo fratello Adonia  morì per suo volere).
- 2) come mai Salomone, campione del monoteismo in quanto edificatore del primo Tempio, diviene in seguito politeista e poligamo ? L'esegesi biblica non lo spiega, ma la tolleranza religiosa tipica dell'istituzione faraonica invece sì.

In questa medesima direzione un altro fatto mi appare estremamente interessante ed intrigante: Tanis è il nome greco della capitale dei faraoni della XXI dinastia. Ma il none egizio storico è Zoan. In fondo il greco ha conservato le stesse consonanti pur perdendo la sibilante iniziale. Tz N. In fondo , in fondo, visto che in egiziano le vocali sono ballerine….non è poi così lontano da Tzion, anzi, coincide proprio. E il tempio di Salomone a Gerusalemme in realtà sorge sul monte Moriah. Bisognerà dunque forse guardare con occhi più attenti al tempio di Ammone costruito a Tanis, incompleto pare, dagli scavi del Montet, ed alle sue eventuali similitudini costruttive architettoniche con il tempio di Salomone.

E' un campo di indagine sicuramente interessante e foriero di grandi conseguenze: ne accenno una, tra le altre. Se Boaz davvero fosse Buas Osokron, essendo Boaz antenato coincidente in ambo le due genealogie neotestamentarie di Gesù (quella di Luca e quella di Marco), nel retaggio di Gesù vi sarebbe , per familiarità, la discendenza culturale egizia.

Un piccolo tassello in più nella complessa figura di Gesù, che potrebbe farci meditare sul fatto che, forse forse, il Conte di Cagliostro, o Giordano Bruno, non vaneggiavano più di tanto ( e dunque non andrebbero trattati con faciloneria quasi fossero cultori di un progetto folle o da poveri mentecatti ), quando cercavano di dimostrare alla Santa Sede che la vera religione di Gesù , che andava ripristinata, sfrondandola delle troppe menzogne e mistificazioni storiche di cui i vari Concili  l'avevano rivestita , era quella Egizia.



Giustino Languasco 33:.
Eques a longa ascia
Gran Conservatore e Gran Guardasigilli del S.C. dell' A.P.R.M.M.




 UN VIAGGIO .... IN INDIA
di Manrico Murzi


Carissimi e fraterni amici,
Vi faccio ora il racconto dell'esperienza che ho vissuto il 15 Febbraio dello scorso anno, alla fine del mio ultimo viaggio in India: relativamente eccezionale per quelli convinti che ogni essere umano in cammino di questua e rispettoso della necessaria disciplina, prima o poi incontra i segni che lo illuminano, ascolta le risposte che lo nutrono.
Dopo aver attraversato con lo spirito d'un pellegrino i luoghi sacri e i templi della devozione popolare in varie città di quel continente, e dopo aver esplorato a piedi, servendomi del lungo bastone dei ginnosofisti, l'isola d'Elefanta raggiunta con una barca, visitando le tante grotte dove la Divinità esprime la Sua potenza con dolcezza o con forza, ma sempre con benevolenza, ho trascorso a Bombay la giornata che precedeva quella del mio volo di ritorno. Dunque, deciso a riposare e raccogliere le idee restandomene in albergo, il Talji Mahal, dopo pranzo mi reco all'ufficio cambi della hall. Durante il mio soggiorno indiano non avevo portato su di me denaro di alcun genere, essendo ospite del tutto spesato.
Così acquisto un pò di rupie, anche con l'intenzione di far più tardi qualche compera nei negozi dell'albergo stesso e portare dei doni alla famiglia.
Messi i soldi in tasca e salito in camera, mi siedo alla scrivania per mettere in ordine gli appunti necessari al mio lavoro di scrittura. Dopo un pò mi prende un colpo di sonno, durante il quale ho uno di quei sogni che hanno piuttosto la consistenza della visione. Dal fondo di un vuoto luminoso, trasversalmente aggalla con lentezza una testa senza corpo, oblunga e a forma d'uovo. Mentre sale verso di me, mi accorgo che si tratta del volto di una amico di lunga data, compagno di molti miei viaggi sui mari, quand'ero navigatore; una persona, ancor oggi, di grande bontà e saggezza.

Ha lo sguardo sereno, ma la sua bocca è cucita col filo di seta e punto a croce. Ne sento compassione e, una volta faccia a faccia, lo bacio sulle guance. Al che mi sveglio di colpo. Ne resto impressionato: Per scuotermi, vado in bagno a sciacquarmi la faccia. Poi decido di uscire per svagarmi, andando a visitare il "Principe of Wales Museum" a due passi dall'albergo.
Scendo in strada. Il Basalto giallo blu dell'edificio e la sua cupola bianca nello stile dei monumenti sepolcrali di Golkonda che dall'alto della mia stana avevo a portata di naso, mi sfuggono ora che percorro in basso i marciapiedi affollati. Mi rivolgo ad un passante, il quale mi dice che sono andato oltre. Dovrei tornare e svoltare subito a sinistra. Ma di seguito e con aria di rimprovero, "Che vai a fare al museo ? Ieri è crollata una casa fatiscente e alcuni poveracci sono morti, anche mamme e bambini. Non sai niente ? Li bruciano tra poco, alle quattro. Qui vicino, la cimitero della "Marine Drive", dietro l'acquario". Affermo di non saper niente dell'accaduto e protesto la mia intenzione di recarmi al museo. "Gente che ieri respirava, faticava a vivere, giocava, in un attimo non è che un fagotto di carne e ossa da bruciare. Cosa siamo ! Una fiammata e via, altro che museo ! Vieni con me, qualcuno laggiù potrebbe avere bisogno di noi".

Sono diffidente, penso ai soldi che mi sono lasciato in tasca, immagino che costui voglia trascinarmi in qualche suo negozio o chissà che. Gli chiedo chi è, che fa. Mi dice d'essere un impiegato della Luftansa e uno dei pochi cattolici in India. Continuo a non essere tranquillo, pur volendo accettare l'invito di partecipare a quel rito funebre. Allora fermo un taxi, vi saliamo tutt'e due, epperò dico io all'autista dove andare, per essere sicuro di arrivare veramente al cimitero.
I riti sono incominciati. Entrando, a sinistra c'è il camposanto dei mussulmani, di fronte quello dei cristiani: In ambedue i morti vengono interrati, ascoltiamo la mescolanza nell'aria delle preghiere recitate o cantate, scorgiamo i fiori, ma non ci avviciniamo. Nell'angolo di destra, in fondo al piazzale d'ingresso, il mio accompagnatore indica il funerale di due parsi, seguaci di Zoroastro, che vengono trasportati su, in cima alla torre del silenzio dove saranno lasciati in pasto agli uccelli rapaci.

Sempre nell'ingresso, a destra c'è un cancello di ferro chiuso con a fianco un botteghino di marmo come quello dei teatri di un tempo. Vi sta affacciato un impiegato al quale si rivolge la mia guida. Parlottano un poco, poi mi si chiede di scrivere anch'io il mio nome e indirizzo su un pezzetto di carta. Un timbro convalida i due lasciapassare e infine ci accostiamo al cancello.
Tiriamo una cordicella ch'io credo di una campanella in metallo, invece sento sbattere due legnetti: suono ottuso, ma discreto. Efficace, giacchè di colpo s'apre uno sportellino del cancello, noi mostriamo i foglietti e ci lasciano passare. Ci troviamo si di un ampio cortile il cui spazio è come diviso in tre lunghe corsie: quella di destra ha, subito all'ingresso, una piccola bottega con vendita di petali in mille colori, incensi, profumi e pezzi di legno odorifero da bruciare e poi continua con file di panche pitturate di verde dove siedono i parenti dei morti che aspetteranno la fine del rogo e il raffreddamento delle ceneri; quella centrale serve al transito dei necrofori, oranti, morti, legna da ardere, piccoli cortei funebri; la corsia di sinistra, infine, panche di pietra su cui i cadaveri vengono lavati e preparati alla cremazione, rivestiti con una lunga veste bianca di cotone o di lino, adornati con collane di fiori, profumi e incensi. Subito vicino sono allineati dei lettini di ferro alti di un piede, con una graticola fatta di spranghe per rete e bande laterali a contenere la pira.

In fondo al cortile si erge un alto capannone con cataste di legna e due bilance i cui piatti sono retti da corde lunghissime pendenti dal soffitto. Oltre c'è un campo zappettato di fresco: i bambini, di regola quelli che non hanno ancora messo i denti, non vengono bruciati e si seppelliscono senza mettervi alcun segno. Giunti al capannone, dunque, un necroforo ci chiede se desideriamo coprire le spese di cremazione per chi non ne ha i mezzi. Così adottiamo un morto a testa, e ne viene scritto il nome sul "bigliettino d'ingresso". Da quel momento perdo di vista il mio accompagnatore che non ho più rivisto. Chiedo quante legna ci vuole, qual'è la spesa, cosa devo fare.

I necrofori parlano un inglese perfetto e non ho difficoltà a comunicare. Mi chiedo se sto compiendo atti mai praticati o piuttosto atti di memoria, visto che tutto mi è naturale e niente mi sorprende. Sono obbediente al richiamo che mi spinge a operare per un morto che, non so come, ha bisogno proprio di me per consumare la propria materialità con decoro e secondo il suo credo.
Acquisto quattrocento chili di legno di mango e raggiungo il "mio" morto: Non deve avere neanche cinquant'anni, asciutto e di bell'aspetto, sereno nella morte. Mi suggeriscono di comperare fiori, profumi, pezzetti di sandalo. Vado al negozio e ritorno alla panca di pietra dove giace il morto. Assisto alla preparazione, alle preghiere, e, seguendo le istruzioni dei necrofori, gli metto addosso collanine di petali, essenza e legnetti odorosi. Poi raggiungo il gruppi dei "miei" familiari e mi siedo con loro. Una vecchia, penso la mamma, si muove e mi bacia la mano sinistra ch'io ritraggo. Sapendola povera, le offro anche direttamente altro denaro, ma non mi vuoto del tutto le tasche, anche pensando alla spesa del ritorno.

Intanto si è già composto il primo strato di mango. Vi sdraiano il morto e gli mettono sopra altra legna: Tutto è pronto. Il fuoco viene appiccato a tutti i "lettini" e i familiari restano indifferenti, ma negli occhi dei "miei" vi è un'espressione di quiete che prima non leggevo.
I fuochi hanno finito di ardere, quelli di legno pregiato come quelli di legno ordinario. Ora i tizzoni e le ceneri cascano radi sotto le pire e il fumo dolce e profumato ha smesso di salire verso il cielo. Ci si può accostare: Tutti i morti sono completamente consumati del fuoco. Del "mio morto", però, è rimasta la testa, nera come il carbone, con tre laghetti di sangue coagulato: gli occhi e la bocca.
Rivedo la testa della visione avuta appena due ore prima nel colpo di sonno. Aderisco con maggiore convinzione al mio compito, ma ancora senza emozioni. Un necroforo mi consiglia altri cento chili di legna per completare la cremazione e qualche profumo in più. Ho giusti giusti i soldi per la fiammata supplementare. Completata l'opera, saluto quella mia famiglia provvisoria e rientro in albergo. Arrivato, chiedo a uno dei portieri di prestarmi i soldi per il taxi, riflettendo sulle limitazioni che i veicoli materiali possono porci, confortato dalla liberazione che avevo ricevuto al momento in cui ero attivo nel donarla ad altri.
Rimuginata la lezione ricevuta, ho capito che la via da noi scelta è giusta, i passi che stiamo facendo sono sotto tutela, non ero solo, bensì legato alla catena energetica di cui non mi sento che anello alla quale arrivano e arriveranno gli attesi messaggi.




 RUDOLF STAINER ED ALEXANDER VON BERNUS:
DUE FRATELLI DEL RITO EGIZIO
Alla Luce imperitura di Kemi-Hator
di Apis


In merito alla parabola terrena di Rudolf Steiner (Kraljevicz 1861- Dornach 1925) è stato detto e scritto moltissimo. Fondatore della Società Antroposofica e di quel vasti Sistema da lui definito "Scienza dello Spirito Orientata Antroposoficamente", lo Steiner nel corso della sua vita si occupò di moltissimi argomenti: la Scienza, la Pedagogia, l'Arte, la Filosofia, l'Agricoltura, la Medicina (in collaborazione con la dottoressa olandese Ita Wegman), la religione furono da egli visitate ed ampliate secondo le vastissime conoscenze Esoteriche acquisite grazie ad una diretta sperimentazione nel campo del sovrasensibile e ad uno studio attento ed ordinato dei principali Sistemi Sapienziali dell'Oriente e dell'Occidente.

Soprattutto Steiner fu un occultista nel senso più vero ed ampio del termine, connettendosi con quella via esoterica "Rosicruciana" il cui esponente visibile, nel primo Rinascimento, fu l'Entità conosciuta come "Cristiano Rosacroce", anello centrale di una catena che inscrive i nomi di Elia. Giovanni, Böhme, Paracelso, Basilio Valentino, Ioannes Valentin Andreae, Robert Fludd, Cagliostro, il Conte di Saint di Germain ed altri.
Lo Steiner giunse all'Osservazione Spirituale partendo dallo studio delle Opere Scientifiche di Goethe, il Grande Genio Tedesco che, come tutti sanno, fu fervente Libero Muratore ed al cui nome lo Steiner dedicò la sede, tuttora esistente, della Società Antroposofica universale di Dornach, in Svizzera, chiamando "Goetheanum", l'imponente edificio, da lui stesso progettato e costruito, prima in legno poi in cemento armato.

Attraverso il successivo incontro personale con due grandi pensatori tedeschi, Haeckel e Nietzsche, lo Steiner arrivò alla conclusione che al di là del "limes", costituito dal pensiero materialistico-scientifico, esistesse un mondo spirituale che doveva però essere investigato ed approcciato con lo stesso metodo utilizzato dal pensiero filosofico-scientifico moderno, partendo cioè dall'unica facoltà certamente posseduta dall'uomo occidentale dei presenti tempi: il pensiero che inverandosi e divenendo "pensiero libero dai sensi", consente all'investigatore di entrare in contatto con i mondi superiori.
Ciò non astrattamente, ma attraverso una serie di esercizi animico-spirituali che lo Steiner fornì, in un secondo tempo, ai membri della così detta "Classe esoterica".

Decisivo fu per lo Steiner l'incontro con H.P. Blavatscki, fondatrice della Società teosofica. Lo Steiner entrò in grande familiarità con la veggente russa fino a diventare il Segretario Generale della Società Teosofica Tedesca. L'incontro con la Blavatscki gli permise di approfondire lo studio della Spiritualità Orientale, soprattutto il Buddismo e l'Induismo, penetrando nella dottrina del Karma e della Reincarnazione in quella dei "Corpi Sottili" e dei centri Energetici o "Chakras". Lo Steiner fu sempre grato a Madame Blavatscki per le conoscenze che poté acquisire grazie a lei e, nonostante alcuni aspetti piuttosto "stravaganti" del metodo di investigazione spirituale utilizzato dalla nobildonna russa (frutto probabilmente di una certa predisposizione medianico-lunare peraltro propria dell'animo femminile), egli le riconobbe sempre grande serietà e notevole competenza in campo spirituale.

Ma, alla morte della Blavatscki, la direzione generale della Società teosofica fu assunta da Annie Besant e dal Colonnello Olcott, i quali nel 1909 dichiararono di aver scopertola reincarnazione di Gesù Cristo in un fanciullo indiano che assunse il nome di Krisnhamurti. Da quel rigoroso e serio occultista che era, lo Stainer non digerì una simile buffonata, uscendo dalla Società Teosofica e fondando appunto la Società Antroposofica. Si noti, per inciso, che molti anni dopo Krisnhamurti smentì ufficialmente di essere la reincarnazione del Cristo, gettando nella costernazione più totale gli sprovveduti teosofi di tutto il mondo che avevano dato credito a tale follia.
Lo Stainer trascorse il resto della propria esistenza a divulgare, attraverso i propri scritti ed una instancabile attività di conferenze, i cardini essenziali del pensiero antroposofico, vera sintesi tra i sistemi Spirituali di Oriente e di Occidente. Secondo lo Steiner, infatti la decadenza spirituale dell'Occidente deve essere fatta risalire ai Concili Cristiani di Nicea e di Costantinopoli, allorquando la Chiesa delle origini eliminò dalla propria dottrina i principi della Reincarnazione, negando al contempo, l'esistenza della Spirito e contraddicendo perciò in sostanza il principio dell'Organismo Tripartito in SOMA-PSICHE-NOUS ed affermando, per contro, che l'uomo è costituito soltanto da corpo ed anima e che per spirito debbano intendersi esclusivamente "alcune categorie dell'anima".

Tali conclusioni avrebbero irrimediabilmente allontanato la chiesa cristiana (e poi quella cattolica) dall'effettivo Cristianesimo Esoterico, che sarebbe però sopravvissuto nello Gnosticismo e nel neoplatonismo rinascimentale di Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino, di John Dee e di Giordano Bruno (quest'ultimo, non a caso, arso vivo come eretico in Campo dei fiori).
Come si può facilmente immaginare, lo Steiner fu violentemente attaccato dalle Chiese Cattoliche e Protestanti ed in particolar modo la Compagnia di Gesù orchestrò una vera e propria campagna diffamatoria nei suoi confronti. Tutto ciò non scalfì minimamente la serena imperturbabilità dell'Iniziato, che continuò imperterrito (nonostante vere e proprie minacce di morte culminate nell'incendio doloso del primo Goetheanum) nella sua missione conquistando consensi e proseliti in tutto il mondo.

Tra i suoi discepoli italiani ricordiamo Giovanni Colazza, Arturo Onofri, il Duca Colonna di Cesarò alias "LEO", "Oso" e "Krur" del celebre gruppo di Ur, fondato e diretto dal Massone e pitagorico Arturo Reghini (alias "Pietro Negri") e che annoverò tra i suoi membri anche Julius Evola (alias "Ea" e "Iagla"). Sul percorso massonico di Steiner pochissimo è stato reso noto: gli unici accenni presenti nella sua autobiografia ("La mia vita" Ed. Antroposofica-Milano) li troviamo nel capitolo 36, ove il Maestro fornisce scarne spiegazioni in merito alla sua propria adesione "ad una società che apparteneva alla corrente rappresentata da Yarker ed aveva le forme massoniche dei cosiddetti "Gradi Superiori". Come sappiamo il fratello Giuseppe Garibaldi, a Napoli nel 1881, riuscì ad unificare i due Riti di Memphis e Misraïm in un unico Rito denominato appunto "di Memphis e Misraïm". L'eroe dei due mondi assunse la carica di Gran Hyerophante Universale alla cui proclamazione parteciparono l'Italia, gli Stati Uniti, l'Egitto, l'Argentina e la Gran Bretagna il cui gran Maestro era proprio il summensionato Yarker, titolare di una patente rilasciatagli nel 1872 da Seymur, Sovrano Gran Maestro del Memphis degli Stati Uniti. Nel 1902 lo stesso Yarker è nominato Gran Hyerophante Universale del Rito unificato, dopo la morte di Garibaldi,evento quest'ultimo occorso nel 1882 e seguito da un periodo piuttosto confuso anche grazie alle vicende causate dalle note mistificazioni anti massoniche operate da Leo Taxil.

Ora lo Yarker rivestiva anche la carica di dirigente della Società Teosofica. essendo in stretti rapporti con H. P. Blavatscky, la quale era a sua volta legatissima al Generale Garibaldi, avendolo addirittura seguito nella battaglia di Mentana. Tra queste due ultime personalità esisteva una profonda comunione spirituale basata sull'assoluto rispetto reciproco e su di un vero e proprio amore fraterno.
Rudolf Steiner non poté mai conoscere personalmente Garibaldi ma fu animato, nei suoi confronti, da una vera e propria venerazione arrivando ad affermare che "Egli (il Garibaldi) rappresenta idealmente e spiritualmente per l'Italia ciò che il mitico Re Artù rappresenta per l'Inghilterra". Lo Steiner, nelle conferenze raccolte poi nei sei volumi intitolati "I Nessi Karmici", arriva ad affermare che l'elevatissima Personalità Spirituale dell'Eroico generale fu l'elemento fondamentale sul piano sottile perché potessero essere messe in movimento quelle forze "Occulte" che permisero l'Unità d' Italia. Si fa presente, per inciso, che coloro i quali nutrissero dubbi sulla grandezza spirituale di Garibaldi, dovrebbero leggere il suo testamento spirituale e riflettere attentamente sul significato esoterico del colore "rosso" che, come è universalmente noto, fu scelto dal Generale come colore delle famose camicie della sua milizia.

Si badi bene che lo Steiner era austriaco, cioè cittadino di quell'impero contro cui Garibaldi lottò strenuamente per tutta la vita e poiché fino a che il traballante stato Austro-Ungarico restò in piedi, cioè fino al 1918, egli si comportò sempre da cittadino leale e scrupoloso osservatore delle leggi di quello stato, abbiamo qui un esempio di come i vincoli spirituali siano più forti di tutti gli altri si tratti pure di vincoli di patria, di razza, famiglia o religione.
Dunque lo Steiner ricevette dallo Yarker una patente del Rito Riunificato di Memphis e Misraïm, ricevendo al contempo, da parte del Gran Hyerophante, la richiesta di tenere alcune conferenze a beneficio di fratelli del Rito. In pratica lo Yarker, che era persona integerrima e tutt'altro che sprovvisto di iniziativa, comprendendo la grandezza dello Stainer, gli chiese di operare una vera e propria "rettificazione esoterica" all'interno delle Logge del Rito.

Ma torniamo al precedente accordo tra Steiner e Yarker: il Maestro austriaco si mise al lavoro con l'abnegazione e l'entusiasmo che gli erano propri e, tre il 1904 e il 1905, egli deliziò i Fratelli tedeschi con bellissime conferenze che sono state poi raccolte nei due volumi "La leggenda del Tempio" e "Natura e scopo della Massoneria". In tali conferenze il Fratello Steiner illustra i più reconditi significati della Massoneria e della sua simbologia, spiegando inoltre in modo assai chiaro (conferenza tenuta a Berlino il 16 Dicembre 1904) il reale significato e la reale origine dei Riti di Memphis e Misraïm, i rapporti tra questi e il Gran Cofto (l'immortale Conte di Cagliostro), i rapporti tra quest'ultimo personaggio e l'altrettanto celebre Conte di Saint Germain e l'autentica derivazione dei Rituali dalla somma Saggezza Spirituale dell'Antico Egitto. Si noti, per inciso, che in molte sue opere lo Steiner ha insistito nell'evidenziare le occulte similitudini esistenti tra la presente epoca di civiltà e quella Egiziana.

In pratica nei tempi moderni verrebbero ad inverarsi alcune esperienze spirituali i cui germogli sono stati piantati durante l'antica Civiltà Egiziana. Ora. durante tali conferenze e nei lavori di alcune Officine del Rito, lo Steiner conobbe un giovane e brillante poeta nonché precocissimo studioso dell'Alchimia e della Spagyria: il Barone Alexander von Bernus (1880-1965).
Questo Fratello si legò allo Steiner in un indissolubile rapporto di amicizia e di discepolato iniziatico. Le visite del Maestro nel castello di Neuburg, tenuta avita della antichissima famiglia von Bernus (imparentata anche con i Goethe), divennero assai frequenti. Fu in tale tenuta che lo Steiner ottenne il silenzio e la concentrazione necessarie per scrivere alcune delle sue opere, fra cui il "Commento alle nozze chimiche di Christian Rosenkcreutz" del grande Valentin Andreae, fornendo al von Bernus quegli illuminati consigli che il Barone avrebbe messo in pratica nella costituzione della sua "Casa Spagyrica" alla quale diede il nome di "Soluna" e che tuttora produce alcuni specifici attivi su numerose malattie.

Secondo quanto ci è stato personalmente riferito dalla vedova del Barone von Bernus, la signora Isa Oberlander, da noi incontrata nel 1990, un terzo personaggio era spesso presente agli incontri tra Steiner e von Bernus: si tratta del grande scrittore ed occultista Gustav Meyerink (autore di alcune celebri opere quali "Il Golem", "La faccia Verde", "L'angelo della finestra di occidente") il quale procurò al Barone alcune rarissime opere di Alchimia, scritte da Paracelso, Arnaldo da Villanova, Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa.
Tali opere ebbero certo i loro effetti nell'agile e profondo intelletto del von Bernus, come si può chiaramente intendere dalla lettura della sua "Alchimia e Medicina" (Ed. Mediterranee-Roma), ove egli si mostra assai padrone della reale conoscenza alchemico-spagirica. Il generoso Fratello volle mettere al servizio della sofferenza altrui tali conoscenze (emulo in questo del grande Kremmerz) attraverso l'elaborazione di una Spagyria curativa.

Alla morte dello Yarker, avvenuta nel 1913, Steiner e von Bernus non accettarono alcuna collaborazione con il Reuss e perciò si ritirarono dal Rito continuando a rimanere in grande familiarità reciproca fino al 1925 anno della scomparsa terrena del grande Iniziato austriaco. Peraltro lo Steiner fu collaboratore fisso della prestigiosa rivista "Reich" diretta dal von Bernus, alla quale contribuirono, con diversi articoli, altri prestigiosissimi personaggi come il Rilke ed Emil Bock. Ad un certo punto von Bernus chiese anche al maestro di edificare il Goetheanum presso una sua proprietà sita a Donaumünster ai confini tra Baviera e Svevia, ma questi declinò l'invito presagendo ciò che di li a poco sarebbe accaduto in Germania; fu così che il Goetheanum sorse in Svizzera.

Tuttavia la bufera nazista avrebbe risparmiato sia il Barone von Bernus, sia la casa Spagyrica "Soluna", nonostante le dichiarate idee liberali ed anti totalitarie dell'Alchimista tedesco e la sua nota appartenenza alla Massoneria. Accadde infatti che il gerarca nazista Herman Goering avesse sperimentato con grande beneficio i prodotti "Soluna" per alcuni suoi malanni fisici: tanto bastò affinché l'influente personaggio impedisse che il von Bernus venisse molestato o distolto dai suoi studi alchemici, che continuarono tranquillamente nella proprietà di Donaumünster ove il Barone visse fino al 1965 ed ove tuttora esiste la sede della "Soluna". La sua Arte fu condensata ed espressa, oltre che nel già citato "Alchimia e Medicina", anche in altre significative opere, tra cui la raccolta di poesie "Gold um Mitternacht" e la commedia esoterica "Spiel um Eulenspiegel" purtroppo mai tradotte in italiano.
L'Arte di von Bernus discendeva direttamente da quelle idee cosmosofiche presenti nel pensiero di Ildegarda von Bingen, Paracelso e Jacob Bhöeme.

Attraverso una concezione gnostico-esoterica del mondo si giunge così alla comprensione sottile delle Forze che agiscono nella Natura: Forze positive che si manifestano in determiante piante e metalli, contrapposte a Forze distruttive che si manifestano in altre. Quindi, dietro le quinte del mondo visibile ve ne è un Altro invisibile intessuto di energie sottili e viventi, così come nell'uomo oltre il suo corpo fisico, carnale, sussitono altre entità di natura sottile in conformità al noto insegnamento della "Tavola smeraldina" (come in alto, così in basso).
Lo studio di tali forze consente la preparazione di prodotti in grado di risvegliare i poteri curativi interni all'organismo senza aggravare le condizioni e facendo in modo che l'organismo medesimo si, per così dire, "riorganizzi". Il risveglio dei poteri curativi che porta alla risoluzione delle disfunzioni dell'organismo può essere nel linguaggio scientifico moderno definito come un rafforzamento delle difese immunitarie proprie del corpo.

Di contro si può affermare che in realtà i prodotti Spagyrici non agiscono direttamente sull'organismo in disordine, ma sono fatti in modo tale da portare (o riportare) i poteri autocurativi nelle condizioni di svolgere il loro specifico compito; ovvero il ristabilimento ed il mantenimento della salute. La lavorazione Spagyrica dei metalli e delle piante utilizzate per la preparazione dei medicinali rende possibile la più completa "apertura" delle materie prime, onde queste possono essere assorbite ed assimilate dall'organismo senza quegli effetti collaterali altrimenti inevitabili.
Tali insegnamenti venivano già impartiti negli antichi Santuari Egizi, quando il medico era, al contempo, Sacerdote e sono alla base dello stesso insegnamento Esoterico del Divino. Cagliostro che spesso si dedicava alla cura gratuita degli ammalati distribuendo prodotti spagyrici da egli stesso preparati. Daltronde, nella storia dei Rosacroce non compare forse frequentemente l'esercizio gratuito della medicina ? E non erano forse medici Paracelso, Nostradamus, Van Helmot e Robert Flud ?

Tale fu dunque la vicenda del rito egizio in Germania e tali i personaggi che lo animarono. Ad essi, come a tutti i Maestri passati, si rivolga la nostra imperitura devozione e gratitudine per quanto hanno apportato, e tuttora apportano, alla edificazione del Tempio Immortale.




 SABBIA, SALE E ZOLFO: ALCUNE RIFLESSIONI SU ERMETISMO E MASSONERIA
di Giovanni Lombardo

Non sono un cultore di alchimia o di arti magiche in genere. Non ho mai usato l'atanor e neppure un alambicco, ne ho mai sperimentato alcunché. la mia curiosità è puramente intellettuale, sollecitata dall'osservazione del gabinetto di Riflessione, sul tavolino, vi sono anche tre ciotole contenenti sabbia, sale e zolfo. Mi sono chiesto il perché e credo di aver trovato la soluzione di questo 'arcano'. La sottopongo pertanto alla Vostra riflessione, sollecitando il Vostro contributo al dibattito.
L'ermetismo
Il Fr. René Guenon afferma che con questo termine si designa una dottrina essenzialmente cosmologica d'origine egiziana, filtrata poi attraverso la cultura ellenistica. La si fa derivare da Ermete Trismegisto, figura leggendaria d'iniziato, considerato dai greci identico al dio egiziano Thot, inventore della scrittura e del calcolo(1). Inoltre, la peculiarità d'indagine della dottrina suddetta è legata al tipo di iniziazione regale e non sacerdotale: solo quest'ultima reintegrerebbe l'iniziato al Principio, direttamente, consentendogli di realizzare i Grandi Misteri; laddove prima si limiterebbe al compimento dei Piccoli Misteri. L'iniziazione a questi ultimi comporta "lo sviluppo delle possibilità dello stato umano considerato nella sua integralità; essi mirano dunque a ciò che abbiamo chiamato la perfezione di questo stato, vale a dire a ciò che è stato designato tradizionalmente come la restaurazione dello stato primordiale (2)".

La distinzione è presente in tutte le culture tradizionali: nel taoismo, per esempio, si distingue fra "uomo vero" e "uomo trascendete": aggiunge il Fr. Guenon che l'iniziazione sacerdotale è andata irrimediabilmente perduta e che ci si deve giocoforza accontentare delle iniziazioni ai Piccoli Misteri, come quelle di mestiere, tra le quali la Massoneria e il compagnonaggio: a questo punto, più prosaicamente, mi sia consentito rammentare il vecchio adagio, nel quale è però racchiusa una grande saggezza: "chi si accontenta, gode". "Tutto è nel Tutto e il Tutto è in Tutto".Questo motto condensa la dottrina ermetica, che vedeva una stretta correlazione tra fisica e metafisica, la prima essendo un riflesso della seconda. Se il Logos del Vangelo di Giovanni è la parola ordinante, la Natura è il Liber mutus che la custodisce. Lo studio di questo libro può allora essere uno dei possibili strumenti con il quale ritrovare la 'parola' andata poi 'perduta'. Anche l'uomo è oggetto si studio. A differenza però di altre filosofie, quali la Scolastica, l'Ermetismo si propone anche di incidere sulla Natura -e quindi sull'Uomo- allo scopo di ottenerne la trasformazione.

Così, mescolando sapientemente umori di piante e di metalli, gli alchimisti arricchivano la loro farmacopea. Puntualizzo tuttavia che il lavoro sulle piante (spagiria) o sui metalli (Alchimia) non era mia fine a se stesso: come i muratori che, lavorando la pietra, lavoravano il loro sé interiore, così gli ermetisti, mutando il piombo in oro. lavoravano essenzialmente sub specie interioritatis per ottenere la trasmutazione del loro io, attendendo così alla Grande Opera.
Gli scienziati ci dicono che il nostro mondo è cominciato con un Big Bang, cioè con una deflagrazione effetto della dilatazione spasmodica di una struttura infinitesimale. I testi vedici ci parlano dell'uovo primordiale, in cui era contenuta tutta la Manifestazione; l'esoterismo islamico identifica il Principio con il punto geometrico, figura senza dimensioni, dal cui irraggiamento nasce tutto l'universo. La forma e il significato del numero "zero" possono sollecitare interessanti speculazioni. Nel Genesi l'attuale assetto del mondo è il frutto di molteplici distinzioni: "In principio dio creò il cielo e la terra ". Il racconto prosegue e ci tramanda la separazione fra luce e tenebre, firmamento ed acque, acque e terra asciutta.

Gli ermetisti raffiguravano la materia indistinta con una circonferenza. Essa è stata fecondata dal Sole, simboleggiato dalla circonferenza con un punto centrale: IL simbolo del creato è invece una circonferenza il cui diametro è in posizione orizzontale: il riferimento alla divisione è quindi molto evidente. Questo grafema è anche il simbolo alchemico del sale: Non ci si riferisce, però, al sale marino: con questo termine gli ermetisti indicavano piuttosto la personalità essenziale di ogni uomo: occorre anzi mettere in evidenza che i termini del linguaggio ermetico non hanno alcun riferimento con quelli dell'odierna chimica, trattandosi di metafore, di simboli che devono essere interpretati in chiave esoterica. Coloro i quali presero alla lettera i testi ermetici, accingendosi ai fornelli con pentolini e alambicchi, furono chiamati, spregiativamente, "soffiatori di fumo". A loro può essere forse attribuito il merito di aver dato impulso alla chimica moderna; è tuttavia chiaro che siamo su un piano di lavoro affatto diverso da quello degli ermetisti, mancando i primi di ogni afflato spirituale.
"La sostanza che si cerca è la stessa cosa di ciò da cui bisogna trarla",

L'aforisma, riferito ad Huginus a Barma (3), ci fa ben comprendere come il lavoro ermetico-alchemico avesse per oggetto l'uomo: si trattava dunque di lavorare su di lui per fare nascere l'homo novus, trasformando la pietra grezza in pietra cubica. In potenza, quasi tutti gli uomini sono pietre grezze idonee ad essere squadrate. Basta che lo vogliamo: il massone non forse "l'uomo di desiderio" ? Il profano che bussa alla porta del nostro tempio deve essere però come il Folle, raffigurato dalla lamina dei tarocchi, quella senza numero: un uomo che va verso l'ignoto.
La sua bisaccia è piccola: ha tenuto per sé l'essenziale; appare spinto da un'irresistibile ansia, da un dàimon, simboleggiato dal cane che gli morde la gamba, e pur tuttavia il suo viso non esprime sofferenza. Nella mano destra regge un bastone, dal quale spunta un germoglio: se persevera, il suo giardino interiore conoscerà lo splendore di una nuova fioritura ed il Nostro raccoglierà rigogliose messi, premio del suo impegno e della sua costanza.
* * *

Il sale -elemento 'fisso'- entra a contatto con le influenze esterne. Nel simbolismo ermetico queste ultime sono simboleggiate dal mercurio, elemento 'volatile'. L'ideogramma - ci aiuterà a comprenderne meglio il significato. Sotto la circonferenza simbolo dell'indeterminatezza della materia, c'è una croce. Per inciso, è opportuno rilevare che nel linguaggio ermetico la croce non ha un significato a sé stante, designato piuttosto un lavoro, da compiersi o già compiuto. Come ha rilevato il Fr. Oswald Wirth, "il braccio orizzontale è passivo, come l'uomo che dorma o riposi steso al suolo; al contrario, il braccio verticale è attivo, simile all'uomo che sta in piedi, all'uomo 'svegliato', cosciente. L'attivo, che passa attraverso il passivo, suggerisce l'idea di fecondazione, e proprio all'unione dei sessi si ricollega filosoficamente la croce, beninteso a patto di sublimare e di ampliare la nozione volgare di accoppiamento.

L'idea, penetrando nell'intelligenza ricettiva, la feconda: Dio si unisce alla natura per generare ciò che è. La nostra energia sposa il nostro organismo, perché questo agisca. E' l'applicazione cha dà valore ad ogni forza: questo indica la Croce + , segno di azione e di affettivo lavoro. Secondo che il lavoro sia da effettuare o sia già compiuto, gli Alchimisti tracciano la Croce sotto un elemento grafico o, viceversa, sopra di esso (4).
Nel caso al nostro esame, la croce sotto la circonferenza simboleggia il lavoro necessario per l'evoluzione della materia prima: non per nulla, in astrologia, con questo stesso segno s'indica Venere, dea dell'amore. La luna sormontante denota che l'evoluzione di cui trattasi dovrà prodursi nel dominio sublunare, dunque nella sfera della materialità soggetta continuamente ai cambiamenti. Per potere affrontare il 'mercurio', cioè l'azione dell'ambiente esterno, 'il sale' dovrà essere prima opportunamente purificato.

Si noti che nel gabinetto di riflessione il mercurio è significativamente assente: il recipendiario è solo con se stesso, deve conoscere la sua intima individualità, e dunque non può e non deve essere affatto condizionato dall'esterno. Da questo punto di vista, il locale è assolutamente sterile, come la sabbia contenuta nella ciotola. In Massoneria la purificazione avviene mediante i quattro viaggi simbolici ai quali corrispondono, rispettivamente, le prove di terra, acqua, aria, e fuoco. Comincia così il cammino iniziatico, dapprima verso i recessi della nostra coscienza, quindi verso l'alto, verso la dimensione dello Spirito. Una volta spogliato dei metalli, cioè dei pregiudizi e delle passioni, l'iniziando mette a nudo la suo personalità essenziale, la sua quintessenza, ovvero ciò che rimane di lui dopo le quattro prove superate.

A questo punto, il profano è pronto per ricevere la Luce, come il sale è pronto all'incontro con il mercurio. La Luce provocherà l'ignizione dello zolfo, ma di ciò parleremo in seguito. L'incontro è selettivo: l'iniziato non subisce più passivamente le influenze esterne, come un albero investito dal vento, ma se ne serve scegliendo opportunamente quelle che gli saranno d'aiuto nella sua crescita spirituale e scartando invece le altre. Il Vangelo ci esorta a "separare il grano dal loglio, nel linguaggio ermetico si parla invece di 'coagulazione del mercurio'.
* * *

Retto pensiero, retta parola, retto agire. Quest'ultimo compito è quello più impegnativo per l'iniziato. che non può però sottrarvisi, dovendo dimostrare con i fatti d'avere assimilato e di sapere mettere in pratica i precetti ricevuti.
La Luce ricevuto ha acceso lo zolfo che l'iniziato custodiva nel profondo del suo Io. Lo Zolfo è il Fuoco realizzatore esistente nel nucleo essenziale di ogni essere. Rappresenta l'ardore della volontà, lo slancio verso l'ideale. E' simboleggiato da un triangolo che sormonta una croce: _, il triangolo è il simbolo del fuoco; la croce sottostante si riferisce al relativo processo d'irraggiamento che deve essere compiuto dall'iniziato. La combustione dello zolfo è calmierata dal sale, che s'interpone fra lo zolfo e il mercurio: l'iniziato mantiene vivi sentimenti e idealità, ma il suo comportamento è sempre misurato e composto.

A questo punto, possiamo opportunamente cogliere contatti, ma anche differenze, tra la Massoneria e l'Ermetismo. Comune alle due Scuole è, senz'altro, il lavoro interiore. Abbiamo già detto che le pratiche alchemiche, di derivazione ermetica, non avevano quale obiettivo primario la così detta mutatio metallorum, la trasformazione dei metalli, quanto piuttosto la trasformazione dell'iniziato.
E' questo, un concetto universalmente conosciuto e accettato. Ne è testimone, per l'Oriente, l'espressione araba Kimia es saada, alchimia della felicità, quella ineffabile che prova la creatura allorché conosce il suo creatore: felicità estatica, eminentemente spirituale. Per inciso, va affermato che il mondo arabo ha visto fiorire filosofia ermetica e pratiche alchemiche, giunte a noi attraverso i Templari, che alla guerra con i musulmani preferivano decisamente il "commercio di dottrina e Luce". Per l'Occidente, invece, vale la pena meditare sulla XII lamina del tarocco, l'Appeso: è raffigurato un uomo, impiccato per i piedi, dalle cui tasche cadono per terra alcune monete.

L'uomo è capovolto, come capovolti sono i valori del mondo iniziatico rispetto a quelli del mondo profano (5), mentre le monete che lascia cadere alludono tanto alla spoliazione dei metalli, quanto ai valori che egli diffonde nel mondo, con la parola e, soprattutto, con l'esempio.
Ai suoi lati vi sono due tronchi, che ci rammentano le colonne "B" e "J" la sua gamba destra è piegata ed incrocia la sinistra, formando un triangolo con la punta all'ingiù. L'ideogramma è il simbolo dell'acqua di vita, pronta a ricevere il Soffio vitale: la Grande Opera è così compiuta (6). Analogamente il lavoro del massone che sgrossa la pietra è volto anzitutto alla purificazione della mente e all'elevazione dello spirito.

* * *

Le analogie con l'Ermetismo, tuttavia, finiscono qui. Le ricerche svolte non ci consentono di raccogliere tracce di un lavoro rivolto anche all'esterno, da parte degli ermetisti. Viceversa, la costruzione massonica del tempio interiore precede quella del tempio esteriore. Le due costruzioni non procedono di pari passo, ne lo potrebbero: prima di rivolgersi all'esterno occorre, intuitivamente, fortificarsi all'interno. Tuttavia è illusorio pensare di migliorare se stessi e disinteressarsi dei problemi del mondo. Il simbolismo delle due colonne è, a tal riguardo eloquente (fig. 3).

La Bibbia riferisce che quando Hiram costruì il Tempio per incarico di Salomone, pose al suo ingresso due colonne, Quella di destra fu chiamata Jakin, quella di sinistra Boaz. I loro nomi significano rispettivamente, Essa è stabile e Forza (7). Il simbolismo non è però originale: gli ebrei ne sono debitori agli egiziani, che avevano posto una colonna nel regno del Basso Egitto, a Nord, a Eliopoli; un'altra in quello dell'Alto Egitto, a Sud, presso Tebe. L'unificazione dei due regni avvenne più di 5200 anni or sono. Il Faraone, figlio di Horus, il dio-sole, "luce della luce", presiedeva al regno unificato, governando il suo popolo con ma'at, cioè con "verità", "rettitudine", "giustizia" (8).
Presso gli ebrei la colonna Boaz rappresentava il pilastro regale (Mishpat), Jakin quello sacerdotale (Zedeq). Ambedue le colonne erano idealmente unificate da un archivolto denominato shalom, pace (9).
La pace, la prosperità possono dunque scaturire solo dall'armonioso connubio fra il temporale e lo spirituale. Intendiamoci, la Massoneria non può fare politica, perché i programmi dividono gli uomini, sono invece i principi che li uniscono. Compito della Massoneria è formare uomini, maestri di vita capaci di diffondere la luce e riunire ciò che è sparso.

Diverso è il discorso per i massoni: la costruzione, come dicevamo, è globale; pertanto essi non possono e non devono estraniarsi dalle grandi problematiche religiose, sociali, in una parola: politiche, del nostro tempo. Ciò che veramente conta è che nel loro impegno non dimentichino la tolleranza, cioè, se non l'amore, almeno il rispetto per chi pensa diversamente, sia questi profano o "fratello"; senza, non vi può essere via iniziatica, non vi può essere costruzione, non vi può essere Massoneria.

NOTE
1) Guenon, considerazioni sulla via iniziatica, Milano 1945, pag 338
2) Guenon, op. cit. pag. 325
3) Alchimista vissuto nel XVII secolo: Di lui segnalo La pietra di tocco, una raccolta di massime raccolta da R. Alleau, Aspetti dell'alchima tradizionale, Atanor, Roma 1989
4) O Wirth, Il simbolismo ermetico nei suoi rapporti con l'Alchimia e la Frammassoneria, Ed. Mediterranee, Roma 1991, pag. 23
5) Rammento che i lavori di Loggia sono aperti dopo che il Primo Sorvegliante ha 'ribaltato? la squadra.
6) Cfr. "... e lo spirito aleggiava sulle acque", Genesi 1, 2
7) RE 7, 21
8) Ma'at non è traducibile con una sola parola. Il Fr. Mircea Eliade spiega che la ma'at appartiene alla Creazione originaria: dunque riflette la perfezione dell'Età dell'Oro. Sul punto, V. dello stesso A., Storie delle credenze e delle idee religiose, I, Sansoni 1991, pag. 106
9) Sull'argomento v. C Knight - R. Lomas, La chiave di Hiram, Mondadori, Milano 1997, capp. 7 e 11.




 ERMETISMO E TRADIZIONE ARTURIANA
Una lettura alchemica di "LANCELOT, ou LE CHEVALIER A` LA CHARETTE"
di Chrétien de Troyes
di Paolo Lucarelli


E` mia ferma convinzione, ma ne accenna già Fulcanelli, che la tradizione del romanzo bretone o arturiano tragga ispirazione dalla gnosi ermetica, o, se si vuole essere più chiari, dall'Arte Sacra o Regia, l'Alchimia. Si dovrebbe iniziare qui un lungo discorso su una catena che risale nei secoli all'esoterismo della cavalleria mistica, le cui prime tracce iraniche restano nell'immaginario leggendario come origine della cavalleria ismailita, poi da questa trasmessa ai Cavalieri Templari, e da questi ad altri Ordini in Occidente.
A prima imperfetta dimostrazione di una tesi da elaborare, propongo qui la lettura ermetica del primo dei romanzi del ciclo, dal curioso titolo di "Lancillotto o il Cavaliere della Carretta". Chrétien compone 'roman' per ordine di Maria di Champagne, figlia di Eleonora di Aquitania, probabilmente intorno al 1165. Come egli stesso dichiara, è stata la contessa a fornirgli la matiére e le sens, l'argomento e il significato, ma anche, noi intendiamo, la materia e il sangue (all'epoca sens e sang avevano stessa pronuncia), quindi la materia e il vaso in cui cuocerla (vedi infra).

Il contenuto consiste nell'avventura di Lancillotto che deve liberare la regina prigioniera, Ginevra; ecco come avviene descritta altrove da Galvano:
" .... è cortese, bella e saggia senza pari. Insegna e istruisce tutti coloro che vivono: Da lei discende tutto il bene del mondo. Esso ne è fonte e origine .... Nessuno si comporta con rettitudine e conquista onore se non avendoli appresi da lei .... " (1)
Si riscoprono parole chiave che ci ricordano tra l'altro Alano e Lilla: "Pax amor virtus regimen potestas ordo lex finis via dux origo vita lux splendor figura Regula Mundi"
Ginevra dunque è Dama Natura, lo Spirito o, meglio, l'Anima Universale, l'Anima del Mondo, qui corporificata nella Fontana degli innamorati della Dottrina e nella nostra Regina imprigionata in una veste orrende e tenebrosa. Deve esserne liberata. E' la materia prima, nera, oscura, vile, disprezzata dal volgo, preziosissima per il Filosofo. Per liberarla occorre Lancelot.

Il nome di questo eroe non è di origine celtica o normanna, ma è nome francese, derivato dalla parola ancel di radice latina (ancilla) (2), Indica un servitore. Ancelot ne è diminutivo. In questa forma senza articolo è talvolta indicato, come nel romanzo di Ogier: "N'est mie de la fable Ancelot ne Tristan" Per cui l'Ancelot' e poi 'Lancelot, è il leale servitore il cui compito è liberare la regina dell'Opera dalle tenebre, dal 'nero', per poi diventarne l'amante.
Per quanto riguarda il primo punto vediamo ad esempio il Pernety: " ... il servitore, domestico, è il nome che i Filosofi hanno spesso dato al loro Mercurio. Trevisano lo chiama il nostro servo rosso, il Filalete e molti altri lo chiamano nostro servo fuggitivo a causa della sua volatilità .... " (3)
Per il romanzo di Chrtien nel suo insieme, e l'inevitabile amplesso tra Lancillotto e Ginevra, è ottimo un passo di Nicolas Valois (4) che hanno il vantaggio di testimoniare un'antica tradizione simbolica che risale almeno ai greco-alessandrini:

" ... E` questa Acqua prigioniera (la Nostra Regina) che grida senza posa: Aiutami e ti aiuterò. Cioè liberami dalla prigione, e una volta che mi avrai fatto uscire, ti renderò padrone della fortezza in cui sono racchiusa. L'Acqua dunque che è racchiusa in questo Corpo è la stessa natura di Acqua che gli diamo da bere (Lancillotto), che è chiamata Mercurio Trismegisto, di cui intende parlare Parmenide quando dice: "Natura si allieta in Natura. Natura supera Natura e Natura contiene natura".
Perché quest'acqua imprigionata si allieta col suo compagno che la viene a liberare dai sui ferri, si mescola con lui (l'amplesso, l'adulterio) ed infine convertendo in se stessi la detta prigione, e rigettando ciò che è loro contrario, che è la preparazione, sono trasformati in acqua mercuriale e permanente ... "

Torniamo al nostro romanzo, che incomincia il giorno dell'Ascensione cosicché sappiamo sin dall'inizio di cosa si tratta, quale è lo scopo: è quello che in termini tecnici si chiamerebbe una sublimazione, o, con chiaro simbolismo, il passaggio dal nero al bianco.
La regina è prigioniera di un malvagio: Méléagant, figlio del re Gorre. Noi leggiamo 'mescolato alla ganga' il nome del custode della prigione, e vediamo in Gorre una probabile deformazione di Gore, gora, oppure un derivato di gorge; comunque un'indicazione di cavo e profondo. E` la vecchia quercia cava della più antica tradizione. D'altronde Gorre è un regno da cui nessuno straniero può evadere. Chi vi giunge resta prigioniero per sempre. Si noti che la liberazione della regine comporta la libertà per coloro che vi sono trattenuti. E` un possibile riscatto globale. Nel microcosmo alchemico vuol dire che tutta la materia è purificata. Ora, per entrare nel regno vi sono soltanto due modi, comunque entrambi difficili:

" Vous trouverez obstacle et trépas car c'est périlleuse d'entrer en ce pays .... L'accés n'en est permis que par deux cruels passages. L'un a nom pont dessous l'eau, parce qu'il vraiement sous l'eau entre le fond et la surface, il n'a qu'un pied et demi de large et autant d'épaisseur.
L'autre pont est le plus mauvais et le plus périlleux que jamais l'homma n'ait passé. Il est tranchant comme une épée et c'est pourquoi tous le gens l'appellent le pont de lépée ..." (5)
Dunque due vie, una 'umida' e una 'secca'. Nella seconda, la via della 'spada?, l'acciaio magico (il chalybs del Cosmopolita e di Filalete) sostiene un ruolo fondamentale e insostituibile. Ricordo un passo di un autore poco noto: " ... prendi dell'acciaio ben affilato e aprile (alla materia) le viscere e troverai questa seconda materia dei Filosofi .... Ma senza acciaio ben raffinato e lavorato dalla mano di un buon Maestro, non pensare di venirne a capo ..." (5)

Da qui il simbolismo della spada magica, usato in tanti racconti, a indicare la via iniziatica prescelta. Pensiamo a Excalibur, la più famosa, dal nome così facilmente interpretabile. Lancelot et Gauvan devono scegliere. Il primo va per la via secca, il secondo per l'altro. Vedremo che Gauvain fallisce, possibile suggerimento sull'umidità di questa strada.
Notiamo che Lancelot a questo punto è ancora in 'incognito'. Di più, è disprezzato per aver accettato di montare su una carretta di ludibrio, e quindi per essersi volontariamente avvilito senza motivo apparente. Per comprendere, è illuminante il gioco cabalistico, peraltro molto trasparente: charette va inteso come diminutivo di charrèe, la cenere che si usa per la liscivia e come fertilizzante per i campi: " ...... O quam praeciosus est cinis ille filiis doctrinae , & quam praeciosum est quod ex eo fit " (7) (In Turba).
Dicono i Maestri, raccomandandoci di non disprezzarla. E` la piccola 'Cenerentola' che tra l'altro fornisce la scarpetta di vetro, di verre, vert, il Verde inestimabile, che sarà stimolo per un'altra avventura, dedicata questa volta a Galvano (8). E` il colore del vaso prezioso, del Santo Graal, (il sangreal, il sangue regale). La materia va cotta col suo sangue e, come insegna la Turba, tutto ciò che ha sangue ha anche spirito.

Proseguiamo. Lancelot dunque parte per la via che ha scelto, quella che gli era predestinata da sempre, e va pensoso: " ... come un uomo che non ha né forze né difese verso Amore che lo governa. Dimentico di se stesso, non sa se è o se non è. Non ricorda il proprio nome. Non sa se è o non è armato. Non sa né dove va né da dove viene. Non ricorda nulla, se non una cosa, una cosa soltanto, e per quella ha dimenticato tutte le altre. Pensa soltanto a quella, tanto che non vede e non sente nulla."
Descrizione dell'iniziato immerso nella Via, ma anche di ogni uomo immerso nel mondo e nel cammino della vita, ignaro del suo vero nome, delle sue origini e del suo traguardo. La differenza consiste, per l'iniziato, non tanto nelle conoscenze che possiede, perché gli sono trasmesse in uno dei due modi legittimi, ma piuttosto nell'avere egli una direzione (non vogliono qui dire "obiettivo" perché si eliminerebbe la necessaria gratuità del percorso). Ha una guida, un punto di riferimento la Stella Polare) e perciò, mirando solo a quello, si scopre sempre più 'in sonno' verso la vita profana, mentre si 'risveglia' all'interno.

Ovviamente, in una prospettiva più 'tecnica', questa è anche la descrizione dello Spirito corporificato del nostro fuoco, che a questo punto non è ancora passato dallo stato potenziale a quello attuale, è ancora 'insonnolito', e tuttavia è lo stesso amor che guiderà tutta l'opera. Amor che, con un anagramma ben noto, diventa Roma, ...., la 'forza forte di ogni forza della Tavola di Smeraldo, quella che può vincere ogni cosa sottile e penetrare qualsiasi cosa densa. Le due letture sono tanto più coerenti, se si tiene conto che entrambi, fuoco e iniziato, hanno diritto al titolo nobilissimo di artigiano, e sono stati conglobati nel simbolo unitario di Elia Artista.

Lancelot prosegue per la sua strada, e passa per un cimitero, dove trova un sarcofago coperto da una pietra così pesante che, come lo avverte il guardiano (un monaco) (9): " ... pour la lever, il faudrait sept hommes plus fort que vous et moi ne sommes" (10).
Porta una scritta: "Colui che solleverà da solo questa pietra, libererà quelli e quelle che sono prigionieri in questa terra da cui non possono uscire né servi né gentiluomini nati altrove". E' una epitome dello stesso romanzo. Sollevare la pietra tombale, è lo stesso che liberare la Regina e superare la fase della 'putrefactio', laddove sette sono le reiterazioni necessarie. Lancelot solleva la pietra senza alcuna difficoltà. Giunge poi da un gentiluomo che fornisce le ultime indicazioni sulla via da seguire. Si scopre qui che vi sono due modi per giungere al pont de L'Epée, al ponte della Spada. Una strada più sicura e tranquilla, ma lunga, e una rude e pericolosa, ma breve. Questa passa per il passage des pierres, il Varco delle pietre.

L'Ancillotto decide di andare per la via breve. noi peraltro abbiamo appreso che ci sono due vie secche, o che, perlomeno, dopo un inizio comune, questa via si bipartisce in lunga e breve. La discriminazione si verifica al momento della soluzione, che può essere dolce o violenta. Fulcanelli li spiega molto chiaramente.
Siamo infine al Pont de l'Epeée: "A l'entrée de ce pont terrible .... ils voient l'onde filoueuse, rapide et bruyente, noire et epaisse, aussi laide et épouvantable que si ce fût fleuve du diable. Et si périlleuse et profonde qu'il n'est nullle créature au monde si elle y tomabit qui ne soit perdue, comme en la mer salée. Le pont qui la traverse n'est pareil à nul autre qui fut ni qui jamais sera. D'un epée fourbie et blanche était fait le pont sur l'eau froide. L'epeée était clofichée .... Deux lions ou deux léopards à chaque tête di ce pont, enchaînés à una grosse pierre .... "
Descrizione della materia prima, nera, spessa, salata, rappresentata, come ricorda Fulcanelli, dall'immagine di Satana. L'acciaio è bianco, mentre i due leoni saranno evidentemente, uno verde e l'altro rosso, quelli del consueto simbolismo, un'unica materia nelle sue evoluzioni. Come viene detto nel seguito, passare quel ponte equivale a: "trattenere i venti, impedire agli uccelli di cantare, far rientrare un uomo nel ventre di sua madre, e farlo rinascere, vuotare il mare ...."

Cioè fissare il volatile, corporificare gli spiriti, reincrudare i corpi morti, cioè farli resuscitare rimettendoli nella sostanza originaria da cui tutti hanno preso vita, ed estrarre il corpo rivitalizzato dal mare, cioè dalla madre.
Lancillotto supera il ponte e giunge alla prigione della Regina dove deve combattere contro il suo carceriere. E' un combattimento violento, come descrivono tutti i Maestri, ma alla fine vince facilmente perché grazie a Ginevra il suo vigore diventa insuperabile: " ...essa ha accesso nel suo corpo la fiamma ... e questa fiamma lo rende ardentissimo."
Il servitore disprezzato è finalmente diventato il fuoco segreto che nulla può vincere, completamente trasformato da potenziale ad attuale, reso 'ardentissimo'. Contemporaneamente la Regina è libera, e la Madonna nera è diventata la nostra Vergine bianca e pura, l'operazione capitale è conclusa.

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NOTE
1) Nei Testi la scelta delle parole in evidenza è mia.
2) Ancillare: "subjicere, victigalem facere", in Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitas, Tomus, I.
3) Fables égyptiennes et grecques dévoilées ....
4) Les cinq livres ou la Clef du secret des secrets. Livre premier, Théorique.
5) Vi troverete ostacoli e morte, perché è cosa ben pericolosa entrare in questo paese .... L'accesso vi è possibile solo per due crudeli passi. Uno ha nome ponte sotto l'acqua, perché davvero è sotto l'acqua tra il fondo e la superficie, non ha che un piede e mezzo di larghezza e altrettanto di spessore. L'altro ponte è il più cattivo e pericoloso che mai uomo abbia traversato. E` tagliente come una spada, perciò tutti lo chiamano ponte della spada.
6) Dom Belin, Les aventures d'un Philosophe inconnu ....
7) Quanto è preziosa quella cenere per i figli della dottrina, e quanto è prezioso ciò che da lei si fa.
8) Sir Gawain e il Cavaliere Verde.
9) L'incontro con un eremita o un solitario, è fondamentale nell'Opera.
10) ... per sollevarla occorrerebbero sette uomini, più forti di quel che voi ed io non siamo.
11) ... All'ingresso di questo terribile ponte ... vedono l'onda che scorre, rapida e fragorosa, nera e spessa, orrenda e spaventosa come fosse fiume del diavolo. Così pericolosa e profonda che non vi cadrebbe creatura al mondo senza perire, come nel mare salato. Il ponte che la traversa non è simile ad altro che sia stato o che mai sarà. Da una spada affilata e bianca era fatto il ponte sull'acqua fredda. La spada era forte e rigida, e lunga due lance. Su ogni riva stava un foro ove la spada era infissa. Due leoni e due leopardi a entrambi i capi del ponte, incatenati a una grossa pietra ....




 ESSER GNOSTICI OGGI:
UNA RIFLESSIONE
di Claudio Bonvecchio


La parola "Gnosi" sembra oggi evocare universi lontani, sconosciuti, se non impraticabili. Sembra rimandare ad un sapere un pò polveroso, dove una erudizione (apparentemente) obsoleta si fonde con altrettanto (apparentemente) obsolete dottrine religiose: un patrimonio, insomma, da filologi professionisti, da teologi, forse anche da filosofi, non da uomini semplici. Un patrimonio lontano comunque dal sapere comune e dalla vita quotidiana di un individuo del XXI secolo. Ed invece, le cose non stanno proprio così.
Oggi più che mai le antiche dottrine gnostiche mostrano tutto il loro fascinoso splendore, come un gioiello prezioso ritrovato in un cassetto da tempo dimenticato. Un gioiello che può essere portato con l'orgoglio e il piacere di chi sa apprezzare la manualità degli artefici, la ricchezza del lavoro, la raffinatezza del materiale. Rappresentano infatti, le dottrine gnostiche, una risposta "forte" al travaglio della modernità, alla solitudine di una umanità immersa nelle tenebre dell'ignoranza, al venir meno delle tradizionali dottrine religiose, al tramonto delle ideologie, all'eclisse del simbolico: la linfa della vita del profondo.

Il messaggio gnostico non promette facili soluzioni, non concede nulla alle seduzioni estetiche, non offre -per usare di un linguaggio mass-mediatico - prodotti di largo consumo e neppure si rivolge, indiscriminatamente, a tutti. Si rivolge agli uomini di buona volontà: quegli uomini per cui parola come Luce, Verità, Perfezione, Scintilla Interiore hanno il potere di ridestare echi nascosti ed una profonda, insaziabile, nostalgia. Si rivolge a tutti coloro che desiderano risalire la china decadente di un mondo insensato e nemico dello Spirito: privo di Luce e di verità. Si rivolge a tutti coloro che credono -anche se non lo conoscono- ad un dio lontano e nascosto, vicino però a chi desidera farglisi incontro.
Il messaggio gnostico vuole il ritorno degli uomini ad una vera Dimensione Spirituale o pneumatica e vuole che ciò avvenga con un processo conoscitivo (gnostico) interiore. Un processo che, con equilibrio, senza dogmatismi, ma con salde convinzioni, porti a ravvisare il fuoco interiore, celato in tutti coloro che lo riconoscono come l'impronta eterna del Deus Absconditus.
E` il fuoco del Pleroma o pienezza del divino che rende l'uomo -che in esso si risveglia - partecipe, direttamente, dal divino in un processo di riscoperta della Totalità: cioè di se stesso.

Abbandonate alcune superflue accentuazioni simboliche, la Gnosi vuole essere -oggi più che mai- la riproposizione di un modello di Totalità, in grado di dare in senso all'individuo e alla collettività. Un modello capace di fondere -sincreticamente- nelle confessione di un unico Dio, la ricchezza spirituale dell'umanità. Una ricchezza che diventa per ciascuno la meta agognata e la vera unica Dimora: la Casa di Sempre.

 



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