Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
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(Ariel)La lingua degli uccelli


 



 

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Da un testo classico della letteratura medievale Sufi:
il viaggio degli uccelli verso Simorgh, più conosciuto come
"la lingua degli uccelli"

di Ariel

“Ascolta le parole della giustizia e della fedeltà, ascolta la lettura del canzoniere delle buone opere.
Se sei fedele,  intraprendi il viaggio cui t’invito, altrimenti siediti e distaccatene. Ciò che non si trova nell’indice della fedeltà non potrà essere letto nel capitolo della generosità”.

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Le origini del Sufismo

Tra le varie ipotesi sulle origini del Sufismo, forse la più interessante è che questo movimento iniziatico sia, in buona parte, una derivazione delle correnti essene e Alessandrine (ebraismo e gnosticismo).
 La Cavalleria spirituale degli Ashishin (ismaeliti di Alamut) fu erede della sapienza del Tempio esseno al punto che vi è una sospetta correlazione tra gli Ashidim (esseni) e gli Ashishin (Ismaeliti).
Le influenze di questi cavalieri israeliti sono indiscutibili, sia rispetto al Sufismo che ai Templari, com’è naturale che sia tra “fratelli in spirito”, a prescindere  dalla religione o dal libro sacro di appartenenza. Si potrebbe ritenere che il Sufismo, nel suo intento di intima unione con Dio, debba le sue origini anche allo Sciamanesimo, dato che esso insegna la salvezza individuale e  le tecniche per “sciamare” verso la divinità interiore, indipendentemente da una religione organizzata. Infatti, molti concetti di evoluzione spirituale relativi ai regni “sovramondani”vennero da popolazioni sciamaniche del Turkestan, della Siberia e del Caucaso. Tuttavia il sistema esoterico sufico  è troppo elegante, profondo ed articolato per pensare che la matrice sufica sia solo sciamanica.
Va quindi sottolineato che, al di là delle influenze iraniche, esseno-kabalistiche, sabee, sciamaniche ecc., la peculiarità del Sufismo è la diretta discendenza dagli insegnamenti e dalle rivelazioni esoteriche di Maometto, colui che aveva il privilegio di parlare con l’Angelo di Dio e attuare l’ascensione ai Cieli (Miraj).            
Non si può prescindere solamente da questo, né dal Corano, sul quale sono incentrati gli sforzi interpretativi dei Sufi, che pure non disdegnano i testi sacri di altre rivelazioni. Dato il loro modo d’essere e di pensare, inevitabilmente, i  Sufi si prodigarono per replicare l’esperienza diretta del divino, da parte di Maometto, proprio come gli Alchimisti ed i Rosacroce  tentarono di replicare l’esperienza della Merkabà di Gesù.
Sufi significa lana  poiché di lana è appunto la loro tunica bianca, come quelle indossate dagli Esseni che istruirono il maestro di tutti i maestri, J. Ben Joseph, meglio conosciuto come Gesù.
Secondo gli studiosi, il termine sufismo può essere inteso secondo due interpretazioni:

a – un movimento sviluppatosi a partire dal XII secolo, secondo una interpretazione spirituale dell’arido  monoteismo  coranico, da parte di asceti operanti per se stessi e, successivamente, in seno a cenacoli chiusi o confraternite;

b – un filone di pensiero che, lungo tutto il Medioevo, finì per influenzare le arti, la poesia, la medicina, la scienza,  arricchendo tali discipline, apparentemente profane, di un impulso spirituale tale da provocare una integrazione, all’interno della cultura islamica, di apporti buddisti, cristiani, zoroastriani, manichei ecc.,

La vexta questio sulle origini del Sufismo, ha affaticato assai manipoli di studiosi e specialisti, impegnati a discutere sui due punti predetti. Sembra comunque innegabile che, senza il contributo recato dalla sua “anima esoterica”, la religione Musulmana, con il suo austero attaccamento alla lettera e alla norma, che poi sono la stessa cosa, ed a causa delle sue forti tendenze antimetafisiche, difficilmente si sarebbe lasciata permeare, per esempio, dalle dottrine soteriologiche  (nelle religioni: dottrina che riguarda la salvezza) dell’India e dell’antica Persia.
L’acceso dibattito, circa la nascita di quella che è intesa come la “dimensione mistica” del mondo musulmano, ovvero se questa si sia prodotta per autogenerazione spontanea o secondo le due accezioni predette, dopo qualche secolo e fiumi di parole, appare ancora molto vivace.
E’ però vero che il Sufi, a differenza del filosofo e dello scienziato, per ascendere a Dio, non si avvale della ragione, bensì dell’arte del trasformare l’effimero in simboli, di ricondurre l’uomo al suo archetipo celeste, di risvegliare, mediante un atto di appercezione visionaria (l’atto di prendere chiara consapevolezza delle proprie percezioni e di distinguere il soggetto che percepisce da  quello che è percepito), l’Angelo dalle ali di porpora che giace prigioniero nelle spoglie mortali della materia.
In quest’ottica di “liberazione” del Se’ superiore, un particolare significato è rivestito nel sufismo da un insieme di pratiche cerimoniali e di tecniche dell’estasi, tra le quale spicca la recitazione del nome di Dio abbinata all’accelerazione volontaria del respiro. Esercizio in cui uno o più fonemi sacri sono elevati al rango di mantram  e ciò con il precipuo obiettivo  di sottrarre il mentale, la mente, alla presa delle impressioni sensibili, per poi restituire il “moto” del pensiero alla sua originaria funzione noetica*, ovvero all’intuizione dell’intelletto distinta dal procedimento logico e “discorsivo” della ragione. Funzione che, in particolare per il Sufi,  è quella di penetrare il mondo fenomenico e di ricondurlo ad una esperienza interiore.
 La ragione di questo procedimento di purificazione anzidetto è ben riassunta in un famoso adagio della Tradizione che così recita: ”Colui che conosce se stesso, conosce il suo Signore”. Idea questa  che è la base  della dottrina  della wahdat al –wujud, ovvero del monismo ontologico, cioè di quel sistema filosofico che  pone a fondamento di tutta la realtà un unico principio e che si riferisce all’essere o che è in qualche modo dell’essere. Trattandosi di Dio, esso si fonda esclusivamente sull’idea stessa che si ha di Dio come Essere Perfettissimo. Tale dottrina porta alle estreme conseguenze il precetto Coranico del Tawid, per cui “ non c’è altro Dio al di fuori di Allah “.
Questa formulazione si deve allo gnostico andaluso Ibn Arabi’, contemporaneo di Attar, nostra vecchia conoscenza quando vi ho parlato degli angeli. Per i Sufi monisti l’affermazione predetta presuppone l’adesione alla rivelazione donata all’Umanità tramite il Profeta Maometto, in più, assolutizzando la formula, si arriva a dire che “ Nulla esiste veramente se non Allah “, poiché in Dio essenza ed esistenza sono una sola cosa, il mondo creato procede da Lui per incessante emanazione; non c’è creatura che stia in rapporto a Lui come l’ombra  alla luce;  luce di cui l’uomo non è che un pallido riflesso e nella quale egli è destinato a vedersi riassorbito. Di nuovo (il nostro) Ibn Arabì precisa: “ Dio, di cui si postula la trascendenza, è in essenza identico al creato, benché, logicamente, se ne distingua”.  Agli occhi del Sufi, il cui sguardo oltrepassa la ragione delle forme trascendenti per appuntarsi sul cuore delle cose, anche l’abituale distinzione cara all’ Islam ortodosso, perde in sostanza ogni ragione d’essere. Infatti, le coppie Inferno e Paradiso, Bene e Male, Fuoco e Giardino, si configurano, in ultima analisi, come stadi di coscienza, puramente soggettivi. Da qui la tendenza di molti Sufi ad affermare la relatività delle differenti confessioni religiose, tutte vere, in quanto “ fiumi che scaturiscono da una stessa Foce”.
A questo proposito, un esponente del Tasawwuf (Sufismo) medievale,  Husayn Mansur al Hallay,  morto sulla forca a Bagdad nell’anno 922 d.C., così si esprimeva: “Ho riflettuto sulle denominazioni confessionali facendo uno sforzo per comprenderle e mi sono risolto a riguardarle come ramificazioni di un unico Principio.  Non chiedere dunque ad un uomo di adottare questa o quella etichetta religiosa, perché ciò lo allontanerebbe dal Principio Fondamentale”…..

 “Il mantello rattoppato dei Dervisci, ci appare, pertanto, come l’emblema di una disciplina eminentemente realizzativa, finalizzata all’abolizione dell’io empirico (nafs) ed alla penetrazione della sfera metafisica, del tutto  inaccessibile per altre vie”.

(*dal greco noesis, deriv.da noein: capire, percepire con la mente (nus) )
Il giuramento o patto

E’ una costante delle grandi fratellanze vincolarsi alle origini con un patto sacro. Il patto fu sacro per gli Esseni, come si evince dai rotoli di Qumram,  fu sacro per i Templari e così fu anche per la Massoneria delle origini.  I Sufi non fanno eccezione.  Nell’anno 623 d.C. quelli noti come Derwisci, fecero un patto di fedeltà in Arabia con il nucleo dei Sufi musulmani, ovvero 45 individui della Mecca, legati, a loro volta, da un giuramento o patto, ad uno stesso numero di persone di Medina. Ma i patti delle singole Confraternite sono solo lo specchio di un patto primordiale, quello sancito dagli Angeli Vigilanti che calarono sul monte Hermon:

 “tutti noi giuriamo e ci impegniamo che non ci ritireremo da questo piano, nessuno di noi, lo porteremo a compimento. Allora tutti insieme giurarono e tutti quanti s’impegnarono vicendevolmente” (libro dei Vigilanti 6.3).

La natura del Sufismo o del suo ordine non è quella di un’istituzione che si autoperpetua con una gerarchia e premesse fisse.  La sua natura è evolutiva, si adatta ai tempi e alle circostanze non essendo contemplata la rigidità.  Secondo il loro pensiero, anche gli altri esoterismi originano dalla “nicchia delle luci della  Profezia”.
 La particolarità dei loro insediamenti fu che questi antichi centri si trasformarono in nuclei di saggezza Sufi.
Evidentemente, il loro intento era quello di ritrovare una conoscenza perduta e creare una rete che connettesse tutte le antiche sedi della Tradizione primordiale. I Sufi, in un certo periodo della storia, furono davvero  i depositari e custodi dell’antica saggezza,  veri Cherubini in terra. Essi stessi erano convinti di essere gli eredi di un unico insegnamento, sia pure diviso in molteplici parti, che poteva servire all’ umanità come strumento di sviluppo.
La  Tradizione tramanda che i Sufi, nel senso di iniziati all’antica Tradizione, siano esistiti in tutti i luoghi e in tutti i tempi,  come i Rosacroce.
Prima dell’Islam di Maometto, egli stesso Sufi, già esistevano con tale nome, anche se quello vero e antico era Tasawwuf che sta per “sentiero, percorso spirituale” e la via del Sufi è detta Tarika-Suffiyya.
Di quanto grande fosse il patrimonio spirituale e gnostico, si accorse anche San Francesco, assetato di gnosi divina, il quale proprio dai maestri Sufi dovette imparare “la lingua degli uccelli” che è il modo per indicare la segreta lingua e scienza degli spiriti (uccelli), che ha ispirato un testo medioevale  iniziatico, scritto da uno dei più grandi maestri e mistici dell’ Islam, Farid ad-din Attar.

 

Sufismo e Reincarnazione

Qual è il concetto di reincarnazione per l’Islam ed in particolare per i Sufi?
Uno dei più eminenti sufi, il maestro turco Aziz alDin Nasafi vissuto in Iran nel XIII secolo nel suo “Il libro dell’uomo perfetto”  (Kitab alInsan alKamil) affermò a proposito della metempsicosi: “ E’ una dottrina immemorabile, presente da millenni e millenni d’anni fra gli uomini. I tre quarti degli abitanti di questo mondo, che dico, ancor più, sono stati e sono impegnati  in questa via …….>
Per gli adepti della reincarnazione il luogo del ritorno è quello stesso in cui, avendo soggiornato in origine, l’anima aspira a tornare….> e questo luogo è l’Essere Necessario, ovvero DIO. ..… . Sempre per loro, tutto ciò che appartiene al mondo sublunare, ossia il mondo della generazione, della corruzione, delle nature e degli appetiti, costituisce l’Inferno e gli abissi dell’Inferno.”…….

Per i vari tipi di reincarnazione, metempsicosi  e trasmigrazione, esistono in arabo vari termini, ad esempio: mask è la trasmigrazione comprendente anche l’eventuale passaggio in un animale;  rashk  anche in piante e animali, e, secondo il maestro Jalal al Din Rumi, faskh è ogni tipo di trasmigrazione. A questo credono i membri di varie sette  di ghulat, ma il ghali ( che vuol dire esagerato)  è un estremista disapprovato dagli ortodossi.
I Sufi che credono nella reincarnazione, vi credono esclusivamente nella sua accezione di “metempsicosi”, ovvero la trasmigrazione di un’anima da un corpo umano deceduto ad un altro corpo umano che nasce, dato l’assunto che solo l’essere umano è responsabile delle sue scelte e nella vita terrena è dotato di libero arbitrio, pur se limitato dall’ambiente. L’anima, dunque, trasmigrerebbe in una serie di rivisitazione terrene che la perfezionerebbero e la depurerebbero dalle negatività, dandole così la possibilità di ritornare pura nell’oceano infinito che è Dio.
Occorre precisare, infatti, che laddove il Corano parla ai musulmani di Paradiso e Inferno ammonisce che si tratta di parabole, perché il vero premio è il ritorno in Dio.

In estrema sintesi, si può dire che nell’Islam il tema della reincarnazione ha molte variabili relative all’appartenenza ad una setta o altro, del resto il Corano non dice specificatamente che la teoria della reincarnazione è da ricusare e nell’Islam vige la consuetudine secondo la quale tutto ciò che nel Corano  non è specificatamente vietato,  è ammissibile.
I Sufi che propendono per la reincarnazione, interpretano alcuni passi coranici come indicazioni, forse anche relativamente vaghe, che li autorizzano però a  crederci. Ecco alcuni passi:

“… Dio prende a Sé le anime al momento della loro morte e quelle che dormono senza essere morte. Trattiene quelle di cui ha decretato la morte e rimanda le altre fino al termine fissato.
Davvero in ciò vi sono dei segni per gente che riflette (39°42) . “

“Tu fai entrare la notte nel giorno e Tu fai entrare il giorno nella notte e Tu fai uscire il vivo dal morto e Tu  fai uscire il morto dal vivo. E Tu attribuisci a chi Tu vuoi, senza lesinare (3°27)”

“ O Sufi  ritorna al tuo Signore , o anima raggiungi le intelligenze e le anime del mondo Superiore, i gradi del paradiso……> ; o Sufi, sinchè non ti sarai purificato  del tutto dalle inclinazioni biasimevoli e non ti sarai ornato di qualità lodevoli, non ti potrai liberare dell’Inferno e non raggiungerai i livelli del Paradiso. Sino a che non saprai e non vedrai la realtà delle cose e la loro ragione d’essere, non accederai al Paradiso che è il tuo. Sino a che non morirai a te stesso e non ti rianimerai in Dio, non giungerai a Dio.
Queste tre tappe corrispondono rispettivamente alla Sapienza, all’Amicizia divina, alla Missione Profetica …..….>

La lingua degli uccelli – cenni biografici sull’autore

Abbiamo detto prima che San Francesco volle imparare dai Sufi la lingua degli uccelli, che è il modo per indicare la segreta lingua degli Spiriti. La definizione origina, per lo più, da un testo medievale che ne parla, scritto da Attar, un grande maestro del misticismo Islamico
Farid ad-din Attar, meglio conosciuto con il solo nome ATTAR, vide la luce nel villaggio di Kadkan, nei pressi di Nishapur (Iran nord-occidentale) in una data non meglio precisata che la moggior  parte dei suoi biografi colloca intorno all’anno 513 del calendari musulmano, ovvero nel 1119  d.C.
Il padre svolgeva la professione di speziere/profumiere (Attar), mestiere ereditato dal figlio, la cui educazione  tuttavia fu la più completa possibile per quei tempi. Foridoddin (Attar)  era, infatti, molto versato nelle scienze, in particolare nella musica, nella medicina e nella astronomia. Contemporaneamente si dedicava all’approfondimento della “via Sufica” sotto la guida dei migliori maestri dell’epoca. Il grande poeta mistico Jalaloddin Rumi, quasi omonimo, gli dedicò dei versi chiamandolo “anima del Sufismo”. Assai vasta è la bibliografia che gli viene attribuita, infatti, eccelse nella poesia, nel Diwan = “Raccolta di odi mistiche” e nell’apologetica. Scrisse anche un’opera, Tadhkirat al –Awliya, il “Memoriale dei Santi”.
Farid ad-Din, conosciuto con il nome di Attar,  morì  a Nishapur, sua città natale, in un periodo tra il 1230 – 1234 d.C., vittima, secondo quanto si tramanda, di una scorribanda mongola che mise a ferro e fuoco la città.
La sua ingente produzione, in prosa e in poesia, è improntata su una visione interiore e spiritualizzata dell’ Islam. Le sue opere, frutto di una limpida esperienza mistica, sono considerate tra le più significative e struggenti della intera storia della letteratura persiana medioevale ed hanno consegnato alla memoria la fama di Attar quale erudito cantore del misticismo islamico.
In occidente, a Parigi, nel 1860 apparve in francese la sua opera: il Mantego -t-Tayr, meglio conosciuta come “La lingua degli uccelli”.

LA LINGUA DEGLI UCCELLI

Prendere coscienza che il Tutto è l’Uno e che l’Uno è nel Tutto, è la premessa che si impone a chi voglia intraprendere il viaggio che conduce al cospetto di Dio, aldilà delle 70.000 cortine dietro le quali Egli si celerebbe, secondo il detto del Profeta Maometto. Pertanto il Sufi è un pellegrino dell’Eterno, che imbocca un sentiero e ne percorre  strenuamente le tappe o stazioni (maqamat) errando di paese in paese, fino al completo annichilimento (fana) nella meta.
Spesso la sua ascesa è paragonata a un’arrampicata verso la cima di una montagna, raggiunta la quale ai suoi occhi si aprirà in basso un panorama mille volte meno angusto di quello che avrebbe potuto vedere  se fosse rimasto a valle.
Il Mantiq al Tayr (La lingua degli uccelli)  è la summa del migliore misticismo Islamico e, nello stesso tempo, un messaggio universale di apertura al trascendente.  L’opera è un classico nel suo genere e si configura come una sorta di “favola esoterica” il cui tema centrale è il viaggio metaforico,  ma anche reale,  che l’anima intraprende quando si stacca dal mondo materiale per tentare di conoscere il grande mistero del divino.
Come premessa, faccio modestamente mie alcune considerazioni di un autorevole commentatore del testo che così si esprime:
“ … sia consentito a chi scrive queste righe di confessare, in camera caritatis un certo imbarazzo. Ogni saggio che si rispetti necessita, si sa, di pochi ma indispensabili “ingredienti”. Dal suo estensore, ci si aspetta che prenda per mano il lettore, conducendolo docilmente attraverso le segrete pagine del volume, che gli fornisca un “grimaldello” per aprirsi la strada ad una migliore e più ampia conoscenza del contesto storico, sociale e letterario da cui l’opera è gemmata. Qui però siamo di fronte ad uno di quei testi unici, anzi assoluti, ovvero ad un testo universale, senza tempo né confini.”
É vero, la lingua degli uccelli parla alla mente e di più al cuore,  soprattutto di un iniziato che ha intrapreso un suo viaggio spirituale, spesso arduo, talvolta infido, pieno di ombre, timori, incertezze, paure.  Il libro, infatti, letto con animo puro e recettivo,  produce una radicale conversione del pensare, del sentire e del volere, produce cioè un rinnovamento di quelle facoltà del nostro spirito o, se preferite, del nostro Se’ interiore, sollecitato dal messaggio che da queste pagine il maestro Attar ci trasmette.

I protagonisti di questa favola sono un gruppo di volatili della mitologia iranica, quali: l’upupa, il pappagallo, il falco, il pavone, persino un’anatra,  l’usignolo ecc. che, riuniti in convegno, decidono di spiccare il volo alla volta  del monte Qaf, un posto agli estremi limiti del mondo conosciuto, dove vive il loro Signore: Simorgh.
 Li guida l’ upupa, da loro stessi eletta  “capo” della spedizione, in quanto la più degna  poichè  rappresenta la spiritualità e conosce molti segreti.
Per raggiungere il loro RE dovranno attraversare, tra molti pericoli, 7 valli che rappresentano altrettante tappe di un vero e proprio itinerario iniziatico pieno di simboli universali dalle plurime interpretazioni.
In estrema sintesi, si narra di 100.000  uccelli che  partono alla ricerca del loro Signore, ma soltanto 30 (in Persiano: si morgh) arriveranno alla meta. Tuttavia, una volta giunti a specchiarsi nella visione accecante del loro Re, finiranno annientati per tanto splendore e scopri(ranno, paradossalmente, di essere tornati al punto di partenza.
Nel Manteqo (il Testo in argomento),  il volo degli uccelli attraverso 7 valli, non è altro che la metafora di sette stati spirituali da attraversare, quali:
la ricerca, l’amore, la conoscenza, il distacco, la pura unificazione, lo stupore ed infine la 7^ è la valle delle privazioni e dell’annientamento, ma oltre la quale non è lecito andare perché vi è Dio.
“Se solo tentassi di farlo ti smarriresti..” Ammonisce Attar.  Infatti, gli uccelli che arrivano alla meta sono sfiniti, senza piume né ali, abbattuti , con il cuore spezzato, l’anima accasciata, il corpo dolorante..ma finalmente possono vedere questo Essere al di sopra dell’intelligenza umana e della scienza, una maestà che non si può descrivere.
Di fronte ai sopravvissuti, racconta Attar, si staglia la sagoma di un’immensa montagna, situata in corrispondenza di un Nord-cosmico aldilà dei 7 cieli abitati. É il monte Qaf della geografia/mitologia  Persiana, un luogo insieme reale ed  immaginario che avviluppa la terra in una serie di spire concentriche, disseminate di  minerali scintillanti e di pietre preziose. La sua vetta è di puro smeraldo. Il monte Qaf segna il limite tra due mondi: il visibile e l’invisibile, il superiore e l’inferiore che in esso si toccano e si ricongiungono per fare, ermeticamente parlando,”  il miracolo della cosa Una ”.
Gli uccelli stremati dalle terribili prove,  riusciranno a specchiarsi sulla sua superficie luminosissima e sarà una visione impareggiabile che li renderà partecipi di un segreto inviolabile la cui eco lontana questo libro ci insegnerà, forse, a riconoscere nel canto malinconico dell’ultimo usignolo della sera.  Se così avverrà, non avremo aperto questo libro invano.

                                                          
Qualche brano estrapolato dal Libro

Personaggi
I personaggi menzionati nel libro sono tanti: gli uccelli: upupa, falco, usignolo, pavone ecc. nonchè l’Araba fenice. Poi ci sono Adamo, Abramo Alessandro il grande, Gabriele arcangelo, Giuseppe, Giacobbe, David, Salomone, Ippocrate, Il Profeta Maometto, Faraoni e Re vari, personaggi del mondo Islamico, Folli d’amore, Alì principe dei credenti e molti ancora.

Inizio

Lode al Santo Creatore dell’anima che ha gratificato dell’anima e della fede la vile terra, che ha posato sulle acque il Suo trono e che ha fatto vivere nelle arie le creature terrestri!
Egli ha dato ai cieli il dominio e alla terra la dipendenza, ai cieli ha impresso un movimento perpetuo e alla terra un riposo uniforme.
Ha posto il firmamento sopra la terra, come una tenda senza pioli di sostegno. In sei giorni ha creato i sette pianeti e con due lettere (qui è chiaro il riferimento al Libro della creazione di Abramo) ha creato le nove cupole dei cieli.
Ha dorato i dadi delle stelle perché il cielo, durante la notte, potesse giocare al trictrac.
Ha dotato di proprietà diverse il filo dei corpi e ha messo la polvere sulla coda dell’uccello dell’anima.
Ha reso liquido l’ oceano in segno di asservimento e ha ghiacciato la montagna con il timore che le ha ispirato. Ha disseccato completamente il mare, ha fatto nascere il rubino dalla pietra  e il muschio dal sangue. Ha dato il pugnale e la cintura alla montagna, per cui essa alza la testa con orgoglio.
Una volta ha fatto nascere dei ciuffi di rose sul fuoco e un’altra dei ponti sull’acqua. Ha fatto attaccare da una piccola zanzara il suo nemico (allusione alla storia coranica di Nermud nell’orecchio del quale Dio fece entrare un moscerino per punirlo di non volersi convertire alla vera fede) e questi ha sentito la puntura per 400 anni. ….continua…..>
Ha stretto la vita della formica al punto da farla somigliare ad un capello e ne ha fatto la compagna di Salomone. Le ha donato il bell’abito nero degli Abbassidi e una veste di broccato degna di un pavone  e che non si è avuto la pena di tessere.
Avendo visto  che il tappeto della natura  era difettoso, lo ha rattoppato convenientemente.
Con il colore del tulipano ha insanguinato la spada e con il fumo ha fatto un’aiuola di nenufaro
(ninfea). Per ricavare la cornalina e il rubino ha temprato di sangue le zolle della terra.
Il sole e la luna, uno il giorno, l’altra la notte, per adorarlo curvano la fronte sulla polvere della strada. Il loro movimento è dunque dovuto a questa adorazione e non potrebbe avere luogo senza di essa.
Dio ha steso il giorno bianco e l’ha reso brillante, ha piegato la notte e l’ha annerita come se l’avesse bruciata. Ha dato al pappagallo il collare d’oro e ha reso l’upupa la messaggera della strada spirituale. Il firmamento è come un uccello che batte le ali sulla via che Dio gli ha tracciato e che ha colpito con la testa, come fosse un martello alla Sua porta.  … > 
Se Dio soffia sull’argilla, crea l’uomo e forma il mondo  con un po’ di vapore. Talvolta fa precedere il viaggiatore dal cane , talaltra fa scoprire la strada per mezzo del gatto. Così mentre rende il cane familiare all’uomo, permette che questo (l’uomo), coraggioso come un leone, si assimili al cane.
Talvolta da il potere di Salomone ad un bastone, talaltra accorda l’eloquenza alla formica. Fa uscire una cammella da una roccia e fa muggire il vitello d’oro.
In inverno versa la neve argentata, in autunno l’oro delle foglie gialle <………..> 
Prese la terra, la impastò con l’acqua e dopo quaranta mattini vi pose l’anima, questa alla sua entrata nel corpo lo vivificò. Dio donò all’anima l’intelligenza perché avesse il discernimento delle cose. Quando vide che l’intelligenza era in possesso del discernimento,  le donò la scienza affinchè potesse apprezzare quelle cose. …….>. All’inizio dei secoli, per fissare la terra, Dio impiegò le montagne come chiodi, poi con l’acqua dell’oceano, lavò la faccia del globo.
Pose la terra sul dorso di un toro, il toro su di un pesce ed il pesce nell’aria. L’aria poggia su niente, il niente è niente e il tutto è niente .….. > 
Il suo trono è sull’acqua ed il mondo nell’aria, ma poiché tutto è Dio, lascia stare l’acqua e l’aria……  Tutto è Dio,  le cose hanno solo  un valore nominale. SAPPI CHE LUI STESSO E’ IL MONDO VISIBILE ED IL MONDO INVISIBILE; NON C’É CHE LUI E CIO’ CHE É, É LUI.
Ma, ahimè! Nessuno ha la possibilità di vederlo. ….. Se giungi a scorgerlo perdi la saggezza, se lo vedi completamente,  perdi te stesso… .>
“O TU (Dio) che sei invisibile , quantunque ti faccia scorgere! Tu sei tutto il mondo e nient’altro è manifesto. L’anima è nascosta nel corpo e Tu sei nascosto  nell’anima!  O tu che sei nascosto in ciò che è nascosto! O anima dell’anima! Sei più del tutto  e prima del tutto …….> 

II Saggio: Discorso dell’Upupa sull’esigenza del Simorgh, elezione del capo, gli uccelli si organizzano per la partenza.
 
Gli uccelli del mondo si riunirono tutti, tanto quelli conosciuti che quelli sconosciuti e fecero tra loro questo ragionamento.” Non ci sono nel mondo Paesi senza RE, tuttavia come è accaduto che il paese degli uccelli ne sia privo? Bisogna che questo stato di cose non duri più a lungo….. dobbiamo congiungere i nostri sforzi e andare alla ricerca di un re, poiché in un paese che ne è privo non c’è buona amministrazione e l’esercito è disorganizzato”. ………
…L’upupa arrivò e si mise  in mezzo all’assemblea degli uccelli. Aveva sul petto l’ornamento che testimoniava la sua entrata nella via Spirituale e aveva sulla testa la corona della verità…… Disse:
“Cari uccelli, sono veramente arruolata nella milizia divina e sono la messaggera del mondo invisibile. Conosco Dio e i segreti della creazione. Quando, come me, si porta iscritto sul proprio becco il nome di Dio, bisogna necessariamente avere l’intelligenza di molti segreti……..  Conosco bene il mio Re , ma non posso andare a trovarlo da sola.  Se volete accompagnarmi….. liberatevi da ogni presunzione timida e da ogni dubbio incredulo. Colui che si è giocato la vita è liberato da se stesso e liberato dal bene e dal male….. Siate generosi con la vostra vita e mettete il piede su questa strada  per porre poi la fronte sulla soglia della porta di questo Re. Abbiamo un legittimo Re, risiede dietro il monte Qaf. Il suo nome è Simorgh. Il luogo che abita è inaccessibile… Ha davanti a sé più di 100.000 veli di luce e oscurità……. A che serve l’anima se non ha un oggetto da amare?  A che servirebbe la vita se non si amasse?” L’upupa fu eletta capo della spedizione e gli uccelli si misero in volo verso il monte Qaf alla ricerca di Simorgh…..

XIX Saggio: giustificazione di un altro uccello

Un 3^ uccello disse all’upupa: “Sono coperto di errori, così non potrei mettermi in strada. La mosca, che è tutta sporca, non sarà degna del Simorgh del Caucaso. Colui che, trascinato dal peccato, volge la testa dalla vita spirituale, non potrà avvicinarsi al Re”.
L’upupa rispose: “O uccello incurante! Non disperare, domanda la grazia ed il favore eterno: Se getti così facilmente il tuo scudo lontano da te, o ignorante! Il tuo combattimento sarà difficile. Se il tuo pentimento non fosse accettato, la caduta che gli dà luogo non sarebbe utile. Quando hai peccato, la porta del pentimento resta aperta. Fai dunque penitenza, affinchè quella porta non rimanga chiusa per te.  Purché entri con sincerità in questa strada, la vittoria sarà facile”.

 Racconto (la Fenice)

La fenice è un ammirevole  e incantevole uccello che abita l’Hindustan. Ha un becco lungo e durissimo, forato come un flauto con circa 100 buchi. Non ha femmine e vive isolata. Ciascuno di questi buchi fa sentire un suono e in ciascuno di questi suoni c’è un segreto particolare.
La fenice vive circa 1000 anni e conosce esattamente  il tempo della sua morte. Giunto il momento si prepara un nido di sterpaglia e, disperata, in mezzo a queste foglie  fa sentire grida lamentose. Nel mezzo di questi gemiti trema come una foglia senza interruzione…… Tutti gli uccelli sono attirati dalle grida e anche gli animali feroci…….. Quando ha un solo soffio di vita, essa batte le ali e agita le sue piume A causa di questo movimento si produce il fuoco  che opera un cambiamento  nello stato della fenice. Il fuoco attacca il legno…. E subito legno e uccello sono ridotti in cenere..
Ma quando non si vede più una sola scintilla, una nuova fenice si alza dal mezzo della cenere…. 

Non è capitato mai a nessuno al mondo  di rinascere dopo la morte…… La fenice, sconvolta per mille anni geme cento volte su se stessa. Essa è rimasta per 1000 anni tutta sola nel dolore, senza compagna e progenie. Alla fine della sua vita, è venuta e ha gettato la sua cenere al vento perché tu sappia che nessuno può sfuggire alla morte qualsiasi astuzia impieghi. Impara dal miracolo della fenice: quantunque la morte sia dura e tirannica, bisogna saperci abituare il proprio collo.

Racconto (Ippocrate)

Quando Ippocrate fu all’agonia, uno dei suoi allievi gli chiese: “O maestro! Quando avremo lavato  e avvolto il tuo corpo, dove dovremo seppellirti?” Ippocrate rispose “ Mio caro allievo, se mi trovi, seppelliscimi dove vorrai. Dal momento che durante i lunghi anni che ho vissuto non ho trovato me stesso, come mi troverai tu quando sarò morto? Ho vissuto in tale maniera che, al momento della mia dissoluzione, non so niente su me stesso.”

Racconto (le volpi)

Due volpi, maschio e femmina, dividevano lo stesso nutrimento e gioivano della loro mutua compagnia. Un re che era sulla pianura con delle pantere e dei falconi, separò le due volpi. Allora la femmina domandò al maschio: “O cercatore di buchi! Dimmi dove ci troveremo ancora insieme? “
Rispose lui:” Se dovremo mai essere ancora insieme, sarà nel negozio di un pellicciaio della città”.

Racconto

Una volta un uomo fuori di sé disse a Dio: “O Dio!  Aprimi una porta per giungere fino a TE”.  Rabi’ah, che era seduto là per caso, gli rispose: “O incurante ! Quella porta è forse chiusa??

Racconto ( Gesù)

In questo racconto è citato Gesù, ma non c’è da meravigliarsi. Il Sacro Corano parla della Sua nascita miracolosa in questi termini:

“O Maria! Allah ti ha scelta e ti ha fatta  pura e ha preferito te fra tutte le donne della creazione.
O Maria! Ubbidisci al tuo Signore, prostrati e inchinati con coloro che si inchinano ad adorare.
O Maria! Allah ti dà buone novelle di una sua parola, il cui nome è il Messia Gesù, figlio di Maria, illustre nel mondo e nell’aldilà, ed è uno di coloro condotti vicino ad Allah. Egli parlerà all’umanità da bambino e da uomo ed Egli è fra i giusti. ……>. Così sarà. Allah crea ciò che vuole. ..”

 

“Un giorno Gesù bevve da un ruscello limpido dell’acqua il cui gusto era più gradevole di quello dell’acqua di rose. Da parte sua qualcuno riempì la propria brocca a questo ruscello e si ritirò.  Gesù allora bevve una sorsata dell’acqua di quella brocca e continuò la sua strada, ma questa volta trovò l’acqua amara e si arrestò stupito.  Disse: ”Dio mio, l’acqua di questo ruscello e l’acqua di quella brocca  sono uguali, svelami dunque il mistero di questa differenza di gusto. Perché l’acqua della brocca  è così amara e l’altra più dolce del miele?” Allora la brocca fece sentire queste parole: “ Sono un vecchio,sono stato mille volte travagliato  sotto il firmamento delle nove cupole: vaso, brocca,acquamanile. Mi si potrebbe forgiare ancora in mille forme, ma avrei sempre in me l’amarezza della morte. Essa esiste in me a tal punto che l’acqua che contengo non potrebbe essere dolce”.  O uomo incurante ! Penetra dunque il mistero di questa brocca e d’ora in avanti non diventare anche tu una brocca per negligenza. O tu che ricerchi il mistero! Hai perduto te stesso, cerca di scoprire questo mistero prima che la vita ti sia tolta, poiché se non troverai te stesso in vita, quando morrai non potrai conoscere il segreto della tua esistenza. ………….. Hai partecipato alla vita degli uomini e tuttavia non sei stato veramente uomo. Migliaia di veli coprono gli occhi di questo Derviscio; come dunque troverà se stesso.??”

A questo punto è bello e non solo interessante, riportare brevemente le parole di un Sufi contemporaneo, il Prof. Fida M. Hassnain, ormai molto anziano,  (Direttore del Museo delle Antichità dello stato di Jammu e Kashmir in India), “appassionato” studioso di Gesù, che riferendosi agli anni giovanili del Maestro, di cui i Vangeli non parlano,  dice:

“… la sua missione lo condusse praticamente in tutto il mondo allora conosciuto e non soltanto in Palestina. Il suo messaggio era diretto a genti di tutte le fedi e non soltanto alle tre sette dei Farisei, Sadducei e degli Esseni, che vivevano in Palestina in quel tempo e neppure soltanto ai futuri  Cristiani. Gli Occidentali forse troveranno difficile riconoscere che Gesù sia nato, sia cresciuto e abbia ricevuto la sua educazione in Asia e che sia venerato dagli Islamici e dai Buddisti oltreché dai Cristiani. Negli ultimi 2000 anni la chiesta Cristiana occidentale ha monopolizzato Gesù Cristo, facendolo diventare parte integrante della psiche degli Occidentali: un fatto che, a mio modo di vedere, è fondato su un profondo equivoco, giacchè ritengo che Gesù appartenga a tutto il mondo.
Credo che il fallimento dei nostri sforzi per conseguire la riconciliazione fra gli uomini, stia nel fatto che si tratti di sforzi politici e secolari e, in termine religiosi, dottrinari e settari.
I seguaci delle grandi religioni sono ancora separati, in termini spirituali, da abissi di incomprensione. …. Per un Sufi, ogni essere umano è una replica di Dio; crediamo che Egli non sia affatto interessato alle differenze religiose e che, ad un livello superiore, per lui le religioni di  Buddah,  di Mosè,  di Gesù e  di Maometto siano  UNA soltanto.”

XXXI Saggio: domanda di un altro uccello

Un altro uccello chiese all’upupa: ”Se il re di cui si parla ha in sorte la giustizia e  la fedeltà, Dio mi ha anche dato molta rettitudine e molta integrità  e non ha mai mancato di equità verso nessuno. Quando queste qualità si trovano riunite in un solo individuo, quale sarà la sua posizione nella conoscenza delle cose  spirituali?”
Gli rispose l’upupa: ”La giustizia è il re della salvezza. Colui che è equo è salvo dalla futilità. Difatti è molto meglio osservare l’equità che passare la vita intera nella prosternazione e nella genuflessione del culto esteriore. La libertà stessa non è preferibile, nei due mondi, alla giustizia che si esercita in segreto. Ma colui che la mette apertamente in pratica sarà difficilmente esente dall’ipocrisia. Quanto agli uomini della via spirituale, essi non chiedono a nessuno di fare loro giustizia, ma la ricevono generosamente da Dio”.

Racconto ( Arcangelo  Gabriele)

Una notte Gabriele (Arcangelo) era sul Sidrah quando sentì Dio pronunciare parole di acquiescenza. Disse Gabriele tra sé: “In questo momento un servitore di Dio invoca l’Eterno, ma chi sa chi è? Tutto ciò che posso comprendere è che questo servitore ha senza dubbio un merito eminente, che la sua anima concupiscente è morta e che il suo spirito è vivo”.
Tuttavia Gabriele volle conoscere quel felice mortale, ma non lo trovò nei sette climi. Percorse tutta la terra e le isole del mare, ma non trovò colui che cercava né sulla montagna, né sulla pianura. Si affrettò a tornare accanto a Dio e sentì ancora una risposta favorevole alle stesse preghiere. Nella sua estrema ansietà percorse di nuovo il mondo. Anche questa volta non scorse il servitore e disse:
”O Dio ! Indicami dunque la strada che deve condurmi accanto a questo servitore”.
Gli rispose Dio: ”Dirigiti nel paese dei Rum (secondo la geografia medievale islamica è da intendersi per Bizantini,  Asia Minore), vai in un certo convento Cristiano e lo troverai”.
Gabriele ci andò è vide l’uomo oggetto dei favori celesti. In quel momento stesso l’uomo stava invocando un idolo, una statua. Allora Gabriele aprì la bocca e chiese a Dio: ”O Maestro del mondo! Scosta lontano da me il velo di questo segreto: come puoi esaudire con bontà colui che invoca un idolo in un convento?”.  Rispose Dio: ”Ha il cuore oscurato, ignora che per questo si  smarrisce nel suo cammino. Siccome si è smarrito per ignoranza e Io lo so, gli perdono il suo errore. La Mia bontà lo scusa e gli do accesso al rango più illustre”.
Così disse l’Altissimo e aprì la via dello spirito a quell’uomo.
Egli sciolse la sua lingua perché potesse pronunciare il nome di Dio, affinchè tu sappia che tale è la vera religione e non abbia pretesti per entrare in questa via. ………..

                                               Fine del libro

“…………O Attar ! Hai versato costantemente nel mondo il contenuto della vescica dei segreti. Gli orizzonti del mondo sono pieni  dei tuoi profumi e, a causa tua, gli amanti che abitano il mondo sono vicini alla tenda pieni di dubbio………. I tuoi versi offrono loro un capitale, possano loro impadronirsene  come di un gioiello! Come la luce è il sigillo del sole “la lingua degli uccelli” è il tuo sigillo e le “tappe degli uccelli” sono le tappe della strada dello stupore o meglio, il canzoniere della vertigine. Entra con amore in questo canzoniere e lascia la tua anima con abbandono…

Se i racconti di Attar ti hanno incantato, il sonno ti verrà gradevole, dormi dunque a tuo agio.

 

 

 

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